Nella Parigi desolata si fa largo la bellezza

Nella Parigi desolata si fa largo la bellezza

Le strade sono vuote. Ma in questo deserto metropolitano il fascino rimane intatto. “Vedere spazi di solito gremiti così vuoti ti fa pensare a tutte le possibilità che riservano“, riflette l’inglese Jonathan Anderson, a commento della collezione donna autunno/inverno 2021 – pensata per Loewe e concretizzata nella sala principale del Le Train Bleu, celebre e, solitamente, affollatissimo ristorante della Gare de Lyon. Ma l’estraniazione non vive solo nei luoghi. I capi si fanno edonistici, azzardati; i toni violenti, i dettagli, fuori misura. In effetti, servono “a far stare bene chi li usa“, secondo le parole dello stesso designer.

E, nel gioco allo stupore, colpisce il mezzo di divulgazione. “Dopo l’abbuffata di digitale, la gente vuole concretezza. Per me, pochi gesti sono pari all’aprire un giornale. Inoltre, con la loro diffusione capillare, portiamo la moda più ‘alta’ a tutti, accorciando il divario tra brand e grande pubblico“. Un quotidiano, dunque, tutto da sfogliare e tra le cui pagine figura anche l’inserto, con il primo capitolo di The Affair, nuovo libro di Danielle Steel, ambientato nella moda: “Mia madre è un’insegnante di inglese e mi ha sempre detto che chiunque spinga le persone a leggere va celebrato“, confessa, ancora, Anderson. “Lei lo fa da anni e con successo. Ce ne fossero come lei“.

C’è poi chi, da parte sua, sfila, nel cuore della notte, tra le vie di Saint Germain. Debutta, così, Gabriela Hearst, alla guida di Chloé. “Da Gaby a Gabi“, sottolinea la couturier, ridendo. Vale a dire da Gaby Aghion, che nel 1952 fondò la Maison, all’uruguayana, con base a New York.

E’, il suo, un marchio profondamente amato dalle donne, fosse anche solo per l’impegno, costante, nel settore della sostenibilità. E, nel rispetto dell’ambiente, si è mossa, la ‘nostra’, anche in fase di presentazione, facendo pervenire ai giornalisti i campioni dei tessuti usati, rigorosamente Made in Italy. Si va dal tweed in cashmere riciclato alla georgette di seta organica, e così via. Meno sorprendente lo stile, panoramica storica che, da Karl Lagerfeld si spinge fino a Phoebe Philo. “Chloé fa abiti funzionali, un concetto che rispetto“. Ecco spiegati, dunque, i poncho tricottati, i maxi-pull mélange e le giacche scomponibili, in montone.

In questo momento, quello di cui si ha bisogno è un bel cappotto da mettere sopra il pigiama per uscire a fare spese, no?”, scherza Paul Smith, da parte sua. Ma il fondo di verità lo si percepisce, eccome. Di più, lo si condivide. Si punta alla praticità, insomma, anche in questo caso. Soprabiti ben confezionati, completi classici, tinte vivaci, ma non troppo. Tutte cose da comprare ora e usare… speriamo non troppo a lungo.

Jonny Johansson di Acne Studios pensa, invece, già al dopo. Ecco, pertanto, spuntare in passerella tuniche a fiorellini che paiono ricavate dalle lenzuola, maglieria ‘infeltrita’ e sandali con il tacco, indossati con i calzettoni, come quando ci si infila la prima cosa che capita, per aprire al rider che consegna la cena. Solo sul finire dell’esibizione le giacche si fanno più strutturate, gli abiti rifiniti. Anche se le maniche ‘esageratamente’ lunghe, il tessuto stropicciato, l’abbottonatura che non convince lasciano supporre che prima di tornare alla ‘normalità’ occorrerà ancora tempo.

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