Rivoluzioni giuste… e ingiuste
Chi lo se lo sarebbe potuto immaginare. Neppure troppi anni fa ci si dilettava, mano nella mano con papà, ad andare allo Stadio, accanto magari ad amici e fratellini, per seguire la squadra del cuore. Poi, piano piano, quel piacere ce lo hanno portato via. Sottratto perché, ci hanno motivato, troppo pericoloso, ‘Non è più il caso‘, hanno sentenziato, mettendoci in allarme, rispetto ai numerosi e continui avvenimenti violenti che avrebbero potuto coinvolgerci. Meglio seguire da casa, comodamente seduti sul divano. Giusta accortezza, per non rischiare di farsi male. E sia.
Dopo è arrivato il Covid e, da quel punto in poi, non c’è stata storia. Hanno cominciato a sottrarci, uno via l’altro, gli spettacoli, che anche il campo da calcio si è fatto territorio pericoloso. Poi, ancora, ce lo hanno restituito, ma a piccole dosi, esattamente come si somministra un vaccino. Ci hanno fatto intendere che, tutto sommato, di sognare ce lo potevamo ancora permettere e, forse, in parte, ce lo meritavamo.
Ci hanno parlato di solidarietà, raccontato di meritocrazia… Non meno di un anno fa, il presidente della Juventus, Andrea Agnelli, dichiarava: “Ho grande rispetto per quello che sta facendo l’Atalanta, ma senza storia internazionale e con una grande prestazione sportiva ha avuto accesso diretto alla Champions. Giusto o meno, penso poi alla Roma, che ha contribuito negli ultimi anni a mantenere il ranking dell’Italia, ha avuto una brutta stagione ed è fuori. Con tutte le conseguenze del caso, a livello economico. Bisogna proteggere gli investimenti e i costi“.
365 giorni dopo, l’Atalanta torna a battere la Juventus. Trascorse ben venti primavere, la supera in classifica, mettendone in discussione persino la qualificazione alla prossima Champions League.
E’ lo sport, il senso di ciò che esso rappresenta. Chiunque può farcela e, che si vinca o si perda, è pur sempre un gioco, da condividere insieme. Il bello, in fondo è tutto lì… oppure no. Forse, ci siamo sbagliati. perché ora ci dicono, invece, che non tutto vale per tutti. Che esistono due diverse strade. Una – quella della neo nata SuperLeague – riservata ai pochi eletti che possono permettersela (Juventus, per l’appunto, Inter, Milan fra le squadre Italiane); una seconda per chi, di SERIE B – che in nessun altro modo riusciamo a leggerla – è destinato ad esprimersi settorialmente, a beneficio di pochi, giacché non dotato dei requisiti economici, atti a potersi comprare un ruolo da privilegiato.
Non contano i meriti sportivi. Qui, Signori, contano gli sghei, i danee, i quattrini, insomma e ciò che, attraverso di essi, ci si può compare.
Illusi, noi, che pensavamo, domani, che ci saremmo potuti rimettere in discussione. Quelli che ‘questa stagione è andata così. Ma vedrai, la prossima ci rifaremo…’. E invece no, ci ammoniscono, ricordandoci che qui si tratta di business. Un tempo, posizionarsi tra i primi significava qualificarsi, per gareggiare ad alti livelli. Misurarsi con i più forti poteva corrispondere a sovvertire i pronostici. Esattamente l’opposto di quanto prefigura, adesso, la SuperLeague.
Ci domandiamo, un po’ smarriti, dove è finita la favola di Davide e Golia? Dove sono state accantonate le sorprese di edizioni in cui, partita dopo partita, anche i più piccoli avevano la possibilità di emergere. Ci regalavano, talvolta, persino il sogno di brillare sulle grandi.
Nel mezzo di un torneo che si rispetti si retrocede, pure. Si esulta per l’unica partita vinta, magari proprio all’ultimo minuto. Ci si sente bruciare per le umiliazioni, ci si esalta per un goal inaspettato, spettacolare.
Il ‘passatempo’ del pallone è quella giornata che va storta, nonostante si sia dato il sangue. Quella in cui ci si fa male e ci vorranno settimane, se non addirittura mesi, per rimettersi in sesto. Rappresenta le stagioni deludenti e quelle incandescenti. E’, in qualche modo, lo specchio di noi stessi. Di quel che siamo, di ciò che vorremmo essere. Mischia ambizioni e aspirazioni. Fa di tutto per vederci euforici, speranzosi. Qualche volta mortificati. Mai arresi.
Ecco, tutto questo sta per rendersi irripetibile. Le fattezze delle competizioni stanno per modificarsi irrimediabilmente. Una lunga notte sta per calare, questa è la sensazione comune. Cade sull’imprevedibilità, su quel che desta lacrime ed urla di gioia. E sull’unicità di un evento che, per sua stessa natura, mira a definirsi non riproponibile.
“Spero che non accada mai“, aveva commentato l’allenatore dei Reds, Jurgen Klopp al riguardo, neppure troppo addietro. “Dovremmo creare un sistema, nel quale il Liverpool affronta il Real Madrid per 10 anni di fila? Chi mai vorrebbe vedere la stessa sfida ogni anno?“, si chiedeva il coach. Ora accade, con noi attoniti. E accade proprio di fronte ai nostri occhi, macchiati sin da subito di un riflesso buio. Che a stento ci consentirà ancora di alzarlo, quel mento, e di avventurarci verso le Stelle…
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