Racconto di un Capodoglio e della sua triste/gloriosa fine
Tutto era iniziato così: “Era rimasto intrappolato in una rete da pesca illegale, vicino alle isole Eolie ed è stato avvistato, che ormai era molto debole. Poi, le correnti lo hanno portato sulla costa di Capo Milazzo, dove si è spiaggiato. È stato allora che si è deciso di recuperarne le ossa e ricostruirne lo scheletro, per farne oggetto di studio. Un lavoro eccezionale e molto faticoso. Ed è nata, così, l’idea di un Museo che ospitasse questo straordinario reperto, mostrando le bellezze e le fragilità del mare. Per realizzarlo, è stata lanciata una campagna di crowdfunding, in modo da raccogliere i fondi necessari per un’impresa che, fino a quel momento, si era basata solo sul volontariato“.
Storia di un capodoglio, potremmo titolarla, il cui sacrificio condusse alla fondazione di un Museo. Un giovane esemplare che, nel 2017, vollero ribattezzare Siso e che rimase impigliato in una rete da pesca illegale, al largo delle isole Eolie. Spiaggiato in quella che – ironia della sorte – a soli due anni di distanza, sarebbe diventata Area marina protetta. Un episodio increscioso, si accennava che, tuttavia, ha saputo trasformarsi nell’inizio di un’avventura positiva. Sulle sua basi, si è creato, infatti, un vero e proprio avamposto, nella tutela della biodiversità acquatica, in Sicilia.
Il MuMa, Museo del Mare di Milazzo, “è stato inaugurato un paio di anni dopo il ritrovamento, il 9 agosto 2019. La sede è all’interno del Castello di Milazzo, nel bastione di Santa Maria che, una volta, era una Chiesa. Lo scheletro del capodoglio occupa lo spazio dove un tempo c’era l’altare. Un luogo simbolico. Oggi il capodoglio è una luce di speranza per un ambiente migliore“.
Un animale, di per se stesso, che tende a stimolare simpatia nelle persone. “Era un esemplare di maschio, di circa dieci anni, lungo 9 metri e mezzo e pesante dieci tonnellate“.
I capodogli scendono intorno ai 1.000 metri di profondità per cacciare i calamari di cui si nutrono, per poi tornare in superficie, per respirare. Buffo ma, fanno sapere gli esperti: “Molti tendono a scordare di essere mammiferi e di necessitare di ossigeno, come noi“. Un tempo, addirittura, si spingevano fin sulla terra. Sorprendentemente, “aveva nella pancia moltissimi oggetti di plastica. Purtroppo, non è un caso raro: lo si riscontra nell’80% dei capodogli che si spiaggiano nel Mediterraneo“.
Gli avvistamenti, del resto, se non costituiscono una rarità, non rappresentano neppure una garanzia. “Nei mesi di lockdown, per l’emergenza Covid, che ha portato a una diminuzione di barche” se ne sono individuarti diversi. “Si spostano alla ricerca di cibo e, proprio a causa delle loro abitudini alimentari, hanno un ruolo essenziale per l’ecosistema… spostano nutrienti, creando preziose inter-connessioni“.
Rispettare i fondali, in questo senso, è fondamentale, concludono i ricercatori ed elencano le loro raccomandazioni: “Ogni volta che getti l’ancora su una prateria di posidonia oceanica danneggi una pianta estremamente preziosa. E’ un indicatore che le acque sono in salute, produce ossigeno ed e una vera nursery per pesci. Inoltre, le sue radici tengono saldi i fondali ed evitano l’erosione costiera. Infine, se vedi un animale selvatico in difficoltà, che sia un capodoglio o una tartaruga, mantieni le distanze e chiama la guardia costiera, al numero 1530“.
A sottolineare, ancora una volta come, con piccoli gesti, possano prodursi enormi risultati.
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