Alle volte ci vuole… Physical

Alle volte ci vuole… Physical

Guarda con diffidenza al politically correct e questo già ci mette di buon umore. Ci avvicina, per così dire, ad un mondo che qualcuno di noi ha vissuto in prima persona; altri lo hanno solamente sfiorato; altri ancora lo hanno conosciuto, unicamente attraverso il ricordo dei propri genitori. Ci riferiamo a quell’universo patinato e sbrilluccicoso, targato anni ’80. E, del resto, che fosse in atto un revival, lo avevamo intuito da tempo.

Così, non ci stupiamo, avventurandoci nel panorama estivo delle fiction, di imbatterci nel prototipo della Casalinga… ‘disperata’? Eh, no. La serie è arrivata parecchio più tardi. Anche se la penna è la medesima. Quella, cioè, di Annie Weisman (già producer di Desperate Housewives). Di sicuro, frustrata e cattivissima, per l’occasione interpretata da Rose Byrne.

Ed eccola Sheila Robin, soluzionare le personali idiosincrasie attraverso i corsi di aerobica, avvolta in body fluo, schierata in prima fila davanti al video, sorta di soldatino, proselite della perfezione fisica, intenta a non perdersi neppure una lezione di body training.

Il quadro perfetto, tracciato, per l’occasione, da Apple TV+. In streaming, è possibile godere già dei primi tre episodi, per un totale di dieci.

Grassofobica, bulimica, perfezionista ed ossessiva, la ‘nostra’ odia letteralmente se stessa. Vorrebbe vedersi più bella, più giovane, più magra, più motivata. Aspirerebbe ad aggiudicarsi il premio come madre e moglie ideale. Finge, insomma. Mente persino a se stessa mentre, dentro, le covano pensieri meschini. Riflessioni che a noi spettatori, per fortuna, non vengono risparmiate. Sappiamo e ascoltiamo tutto, come fossimo nascosti all’interno di un cervello, che rasenta il limite della malattia.

Sheila detesta le persone che non si curano, che ingrassano e, trasversalmente, pure quelle che raggiungono il successo. E non si accorge, intanto, di rispecchiare quell’identico modello. Si ripete in continuazione che “andrà tutto bene“, se solo riuscirà a mangiare sano, praticare attività fisica, riportare a casa la figlia piccola, sana e salva da scuola. Schiava di se stessa e dei propri limiti, continua, invece, a a cadere vittima delle personali patologie.

Alla regia del pilot c’è Craig Gillespie, amato recentemente per Cruella, con Emma Stone e già artefice di altri successi. Ma le garanzie non bastano, giacché Sheila non fa sconti proprio a nessuno. Chissà, forse piace proprio per questo, perché ci assomiglia.

E’ un’ex ballerina figlia del ’68 che non ce l’ha fatta. Ha sposato un professore che non riesce a brillare ed è circondata da persone, che ritiene migliori di lei. Tutti input verso un cammino di rivalsa, che basa la propria credibilità, paradossalmente, sul numeretto che appare, giorno dopo giorno, sulla bilancia.

I dialoghi, nel corso delle puntate, si distribuiscono sinceri, ed è proprio questo che ci muove a perdono nei confronti della meschinità che, a volte, li occupa. Un modo di pensare che, in fondo, ci appartiene. Cadute di stile, che stiamo ben attenti a non mostrare e che qui, invece, sorta di sfogo liberatorio, si fanno evidenti, schiette, catartiche.

Physical, dunque, come dramedy, come istantanea di un’epoca, ma non solo. Qui si interpreta e porta alla luce uno stato mentale ed è proprio questo che ci induce a riflettere. Ci porta ad indagare, quasi inconsapevolmente, su noi stessi. Non saremo un po’ tutti come Sheila? E se lo siamo, possiamo migliorare? E sia, largo al mix di spiacevole e grottesco, ironia e cinismo che, tutto sommato, ci fa bene. Ci mette in discussione e ci migliora e seppure così non fosse, almeno, più o meno per un’oretta, ci fa divertire, senza troppi rimorsi.

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