Non voglio esser cattivo
… ce lo ripete Shawn Mendes. Il giovanissimo artista canadese – classe 1998 – ha raccontato di una recente discussione con la fidanzata, Camila Cabello. Un alterco che – a quanto pare – ha condotto la Star alla riorganizzazione dei propri pensieri. Messa in discussione, la chiamano e, a vote, funziona.
“Ho alzato la voce“, ha raccontato. E chi, in coppia, non lo lo ha mai fatto? Gli facciamo eco noi.
“Lei mi ha redarguito: ‘Non mi piace quando alzi la voce”, continua il ragazzo di Pickering. “Perché hai alzato la voce?’. E mi sono messo sulla difensiva. Le ho risposto, tipo: ‘Non stavo alzando la voce con te!’. E, invece, ho proprio alzato la voce. E l’ho sentita rimpicciolire e mi sono sentito aggressivo e mi sono detto: ‘Oh Dio, è terribile’. Sono così terrorizzato dall’essere cattivo. Ho così paura di essere malvagio. Questa è la mia più grande paura“.
Un episodio, spiacevole, che, tuttavia, è valso come input per sedersi a tavolino e… parlare.
Il punto è che nessuno, persino il migliore di noi, può ritenersi una sola cosa. Bontà e malvagità non vengono distribuiti a tranci e in ognuno – e aggiungiamo per fortuna – abita un buco nero. Un pozzo buio nel quale, spesso, riponiamo quel che non va e che, talvolta, inaspettatamente, maldestramente, fa capolino.
“Forse c’è anche una parte cattiva dentro di me e devo solo accettare che esista. E quell’altra parte di me, deve solo essere qui e dobbiamo solo lavorare insieme, finché, alla fine. le cose non peggiorino“.
E’ una questione, per l’esattezza, di equilibri e, come preannuncia lo stesso Mendes, di accettazione. Quanto più ci sbrighiamo a renderci conto che in ciascuno di noi c’è posto per quel tanto di male, quanto prima impariamo a gestirlo.
“Non posso evitare il fatto che ci sia un po’ di oscurità dentro di me e, lasciare che quell’oscurità sia presente, è una sensazione orribile. Le ho parlato di questa mia parte brutta e lei mi ha confortato. Poi, per 20 minuti, ci siamo messi a leggere i nostri libri, separatamente e, dopo, sono tornato da lei e mi sono scusato“.
Per un ragazzo di 22 anni, probabilmente, la presa di coscienza può risultare shoccante ma, di fatto, è così. Ci guardiamo allo specchio e adoriamo vedere riflessa l’immagine di noi che ci siamo prefigurati. Perfetti. Irreprensibili. Intoccabili. E invece, talvolta, ci accorgiamo di quanto siamo banali e banalmente fragili. Ecco, questa nostra imperfezione dovrebbe suggerirci, anziché sconfortarci, complessità. Cosa c’è di più prezioso di qualcosa che merita attenzione e delicatezza e conforto? Ecco, quel qualcosa indossa il nostro nome.
“Dio, mi spiace davvero per quello che ho fatto“, dichiara il cantante e gli crediamo, ma il suo è un viaggio appena iniziato. Riaccadrà. Gli auguriamo di no, ma riaccadrà. E, allora, non dovrà vergognarsene ma ricordare. Rievocare alla memoria come si è sentito questa prima volta e imparare. Escogitare il modo per gestire le proprie emozioni, per coordinarle. E parlare. Comunicare, esattamente come adesso, che il dolore che procuriamo agli altri corrisponde, spesso, al medesimo che intendiamo infliggere a noi stessi.
Serve testa, è utile l’aiuto del cuore ma, soprattutto, bisogna lasciarsi andare al flusso delle emozioni. Abbandonarsi, in un sforzo di fiducia su noi stessi che unico, quando ci si inabissa, è in grado di tirarci fuori.
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