Gaultier e quel suo viaggio avventuroso tra Couture e Settima Arte
Chiamatela pure umana debolezza. Ribattezzatela come propensione – se volete distorta – per tutto quel che la Moda detta. Dipendenza per i vari input, da cui ricavare ispirazione. Così nasce il genio creativo. Catturato da un particolare. Rapito da una sensazione, prima ancora che si traduca in emozione. Anzi, l’emozione rappresenterà, al contrario, la parte conclusiva di un percorso evolutivo, dove convergono mestiere e passionalità. La traduzione del talento, in sintesi, in arte.
Galeotta fu, nel caso di Monsieur Jean Paul Gaultier, una pellicola, datata 1945. Stiamo parlando di Falbalas, di Jacques Becker. “Meraviglioso e raro“, ricorda lo stilista, presente all’inaugurazione della mostra, curata in prima persona, presso la Cinématheque di Parigi. Cinémode è un racconto personalissimo del legame che intercorre tra cinema e universo glam.
L’allestimento, aperto al pubblico fino al gennaio 2022, e poi in ‘tour’ per la Spagna con il sostegno della Fondazione Caixa, è dedicato dal Couturier all’amica regista Tonie Marshall, scomparsa l’anno scorso e figlia proprio di Micheline Presle, attrice protagonista del film.
La miccia, nell’animo del designer, deve essersi accesa, nel momento in cui, ancora adolescente, si è trovato ad assistere – ambientazione, un atelier parigino del dopoguerra – al défilé di costumi, firmato Marcel Rochas. La mossa, affinché si facesse corpo la convinzione di trasformare ogni sfilata in un vero e proprio ‘Evento’. E persino le guèpieres, di cui Rochas si attribuisce l’invenzione, verranno sottratte al diretto inventore, per farne la sintesi di uno tra i Marchi più noti delle generazioni a venire.
L’enfant terrible darà sfoggio di sé, prima presso Pierre Cardin; poi da Jean Patou, negli anni Settanta. Poi, ancora, le collaborazioni, numerose: con Pedro Almodóvar o Luc Besson.
Lo spettacolare mélange di abiti, luci hollywoodiane e tradizione cinematografica francese raccoglie, tuttavia, anche le silhouette delle dive vestite da Chanel o da Saint Laurent. Si passa accanto alla vetrina di Marlène Dietrich e dei capi androgini indossati nel corso della sua carriera, all’abito Vichy a quadretti rosa con cui Brigitte Bardot si sposò democratizzando, con la scelta di una mise dimessa, il guardaroba delle celebrità.
Il fasto lo si respira attraverso Marilyn e quelle sue scollature da perdere il fiato, o l’allure da macho certificata Marlon Brando, enfatizzata al massimo dalla canotta indossata dall’interprete in Un tram che si chiama desiderio (1951). E non manca, neppure, spazio per supereroi e cowboy, 007 e persino Rocky. Se ne percepisce, financo, la smitizzazione. Un esempio su tutti? La collezione del 2011 James Blonde, dove a sfilare erano agenti in gonna e calze a rete.
Una sezione della mostra è dedicata – quindi – ai metalli, rielaborati nelle espressioni futuristiche di maestri come Pierre Cardin e André Courrèges, in unione, pure, della fantascienza. Ecco comparire, di conseguenza, i costumi di scena di Jane Fonda in Barbarella (1968) realizzati da Paco Rabanne, lo stesso stilista dei dodici abiti armatura ‘impossibili da portare’, per sua stessa definizione.
Trova espressione, in quest’area, anche un altro film determinante per lo stilista, Who Are You Polly Maggoo? (1966), satira dell’ambiente fashion della Space Age, a cura del fotografo americano William Klein. Il lungometraggio si apriva, ironicamente, con una sfilata di abiti in metallo stridenti.
E c’è tanto altro. Chicche, curiosità, inattese sorprese. Il tutto, a celebrazione di un protagonista delle passerelle, che mai ha inteso limitare il proprio talento nell’ambito del suo stretto lavoro. Da tempo Gaultier ha annunciato il suo addio alle scene. Ciò nonostante, lo spettacolo a cui ci accingiamo ad assistere suona parecchio più di arrivederci. Come a dire che è talmente intrigante la gioia di immergersi in questo mondo stravagante e colorato che, tutto sommato, non si sa mai…
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