Ghost kitchen: adesso dobbiamo davvero arrenderci all’idea che è il ristorante a presentarsi a casa nostra
La notizia è che il Merriam-Webster, il più antico e celebre dizionario in lingua inglese, ha inserito il fenomeno fra le parole dell’anno. Di cosa stiamo parlando? Dell’abitudine, ormai assunta da almeno due primavere, di consumare i pasti acquistati al ristorante, direttamente a casa. Ghost kitchen, che vale a dire il ‘professionale’, che si trasferisce dalle cucine stellate a quelle delle nostre abitazioni.
La spiegazione arriva direttamente dalla redazione del vocabolario: “aggiungiamo nuove parole, quando abbiamo conferma che sono pienamente e stabilmente entrate e far parte della lingua“. Dunque, la definizione di cucina fantasma è quella con cui si identifica “un’attività commerciale dedita alla preparazione di pasti, consumati – tuttavia – fuori dal locale“. Niente prenotazione, giacché il desco è quello delle pareti domestiche. In pratica, si sfoglia il menù, da un sito o da un’app, si scelgono i piatti che si desidera consumare, si lascia l’indirizzo, li si riceve. Più semplice di così?
E certo, la domanda nasce spontanea? Che differenza intercorre fra l’idea, spacciata per innovativa, e una pizzeria da asporto? Secondo i sostenitori, cambia – soprattutto – la qualità del cibo.
Per aprire un locale del genere, che può essere anche piccolo o molto piccolo, serve un minore investimento economico in spazi, arredi, piatti, posate, personale di sala. Occorrono, d’altro canto, uno chef, una brigata e poco altro. Così, tutto il denaro a risparmio viene investito nella selezione di materie prime eccezionali. Ingredienti e attrezzi dagli standard elevati, con il risultato di una maggiore qualità. E, magari, un robot o simili, che contribuisca a consegne veloci.
L’obiezione, prevedibile, riguarda camerieri e sommelier? Che fine faranno? È un punto di vista legittimo ma, lascito di lockdown e quarantene, gli unici segnali di ripresa, nel settore della ristorazione, arrivano dal delivery (+56% in Italia e +30% a livello mondiale). In sostanza, si è dovuto tagliare i costi e reinventarsi, per non morire.
Soprattutto nel mondo anglosassone, realtà del genere stanno crescendo a vista d’occhio. E se il trend è, per lo più, Americano, è anche vero che è proprio in Italia che si trova uno tra gli esempi più ‘fortunati’ del mondo. A Milano, nel quartiere Washington, Helbiz, azienda nota per il servizio di noleggio di monopattini elettrici, ha aperto la personale struttura che, occupando uno spazio di circa 2mila metri quadrati, permette di scegliere fra 6 menù diversi (pizza, hamburger, poke, insalata, sushi, gelato), fornendo lavoro a 80 persone. Tutte regolarmente assunte. Pensate, l’apertura, giornaliera, va dalle 11.30 alle 23.30. Si ordina dall’app e le consegne avvengono, per ora, in un raggio di circa 3 chilometri, “per garantire la massima qualità del cibo“.
E, tra le numerose storie provenienti da Oltralpe, una tra le più curiose resta quella che vede protagoniste l’americana Virtual Dining Concepts e TikTok. Insieme, le due hanno preventivato l’apertura di 300 ghost kitchen negli Stati Uniti, che entro fine anno dovrebbero diventare un migliaio. La novità è che questi ennesimi punti vendita sorgeranno come satelliti di locali esistenti, raccordi per la consegna di piatti, preparati all’interno del ristorante d’appoggio. In più, la ‘carta’ cambierà ogni 3 mesi, seguendo i trend del Social Network. Le ricette maggiormente condivise, commentate e apprezzate, entreranno nella lista dei cibi ordinabili e il creator che le ha postate riceverà parte dei guadagni.
Resta difficile stabile se una scelta di tal fatta possa funzionare, anche nel Nostro Paese, dove nell’esperienza di ‘cenare fuori’ ha grande rilevanza il fatto stesso di prepararsi e uscire. Ciò non di meno, qualcosa si sta muovendo e, probabilmente, altro accadrà nei prossimi mesi. Il food delivery vale quasi 600 milioni di euro l’anno, una cifra troppo golosa, per non allinearsi su nuove idee e altrettanto inediti modi, per cercare di far quadrare i conti.
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