Emma Marrone e le calze della discordia…
Partiamo con l’asserire che ‘Sanremo è Sanremo‘, come è risaputo e vive di polemiche. ‘That’s entertainment!’, guai, insomma, se non se ne parla. Che kermesse sarebbe, senza trascinarsi dietro polemiche, battibecchi, ecc., ecc, ecc?
Del resto, si tratta di spiare dal buco della serratura. Nulla, a ben pensarci, di più umano… e, ammettiamolo, divertente. Noi spettatori vestiamo i panni dei voyeurs e ci tuffiamo, sguazzandoci comodi comodi per l’arco di qualche ora, nel vissuto di altri.
Dunque, si parla. E si sentenzia. E giacché protagonista è il Festival delle amenità, le diatribe – come è logico che sia – fanno capo al superfluo. Si dibatte di eventuali plagi, disaccordi tra artisti, malumori da backstage, funzionalità dei monologhi o affermazioni controverse. Nel calderone non manca proprio nulla e non possono esimersi neppure le discussioni, in merito agli outfit. E tale è l’argomentare di Davide Maggio, riguardo alle calze a rete indossate da Emma Marrone. Il giornalista e blogger avrebbe criticato la scelta della cantante, valutando che l’indumento, in particolare, poco si sarebbe adattato a ‘gambe importanti‘.
Apriti cielo. La risposta di Emma non si è fatta attendere: “Buongiorno a tutti dal Medioevo, il body shaming con il linguaggio politically correct, non so se è più imbarazzate o noioso“, avrebbe sentenziato la nostra. ” La gamba importante”, avrebbe, di seguito, aggiunto su Instagram, “non va nascosta ma mostrata. Se volete indossare le calze a rete e una minigonna, fatelo, senza vergogna di essere come si è“.
Un invito, dal punto di vista personale, a non lasciarsi condizionare dal parere altrui. A rimanere padrone del proprio corpo, a difenderlo e rispettarlo.
Ora, tutto encomiabile, per carità. Tuttavia, al di là della stima per l’interprete e il sostegno indiscriminato verso le sue idee, siamo sicuri che le cose stiano proprio così? La percezione del bello è personale, vero, ma il gusto, per non parlare di buon gusto, è un’altra cosa. E’ l’adesione tra armonie per cui, alla fine dei conti, l’occhio che guarda riceve grazia. E ci rendiamo conto che, probabilmente, stiamo parlando di un concetto che non va più di moda. Ma noi siamo antichi, conservatori, retrogradi… e ci hanno insegnato che la bellezza risiede nella consapevolezza di sé. Pregi e difetti. E nel lavorare a valorizzare quel che si è, o quel che si ha, senza mortificare il resto, ma neppure sbattendolo in faccia agli occhi di chi ci è di fronte, alla stregua di un boccone indigesto.
Noi siamo quel che siamo. Amiamoci, allora. Un tempo esistevano il pudore, l’amor proprio, il riserbo… Oggi tutti appartiene a tutti e, quand’anche non gli appartenga, siamo noi i primi a riversarglielo addosso, conferendo ai nostri interlocutori il potere di aprire bocca su tutto ciò che ci riguarda. Non c’è rispetto? Ma noi – la domanda è questa – invece, ci rispettiamo?
Assodato il presupposto che ognuno, di sé, può fare quel che crede, pare assurdo poi, però, trasformare mere considerazioni in accuse. E’ fazioso. E’ vessatorio. Ci permettiamo… ancora… è sciocco. Dal momento che ci si assume la responsabilità di presentarsi al pubblico, tramite una vetrina Internazionale, non può non considerarsi il fatto che qualcuno parlerà e che, magari, avrà pure ragione. Non si può non farsi carico delle proprie scelte.
E poi, nel processo che si chiama dialogo, bisognerebbe anche armarsi di buon senso. La critica – se così vogliamo definirla – non era rivolta al look – firmato Gucci, ma poco importa – bensì faceva conto di un dettaglio. Un accessorio, in una considerazione globale. Quel tipo di calze poco donavano a chi le indossava. Tutto qui.
Esiste l’obiettività delle cose. Esistono le geometrie, il che non significa intrappolarsi in chissà quale copione. Solo, rispettare – per l’appunto – e dar voce ai propri talenti.
Emma consapevole e libera? Davide Maggio orco cattivo? Non sta a noi dirlo, però, una volta tanto mettiamoci una mano sulla coscienza e, se non altro, smettiamola di confondere un libero parere – peraltro sensato – con un’accusa esistenziale. Evitiamo di incespicare nella personale vanità e manipolare, accantonando la realtà.
Proviamo, piuttosto, a renderci conto che al dunque, è ora di mostraci – nostro malgrado – adulti.
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