Stroncatura calabrese: la sapevate questa?

Stroncatura calabrese: la sapevate questa?

Ci sono piatti, un po’ come succede alle persone, che potremmo considerare ‘nomadi’. Così è per la Stroncatura – in dialetto Struncatura – emigrata da Amalfi fino in Calabria.

I rapporti commerciali tra le due regioni, del resto, erano assodati da tempo. Sul finire dell’800, nella Piana di Gioia Tauro, attivissima zona di scambi, si riscontrava una presenza cospicua di negozianti provenienti dalla Costiera, secondo quanto emerge dall’annuario d’Italia del 1895.

Dunque, il prodotto, originariamente destinato agli animali, prese a differenziarsi nell’uso comune. Dapprima piatto della cucina povera assurse, nel tempo, a caposaldo della tradizione calabrese. Leggenda vuole che i pastifici utilizzassero le scopature di magazzino, vale dire i residui misti di farina e crusca delle operazioni di molitura del grano.

Successivamente, questi ultimi venivano lavorati, dando luogo ad un tipo di pasta dai toni ambrati denominata, appunto, Stroncatura, venduta a prezzi evidentemente ridotti. Un alimento – proibito per motivi igienici – equiparabile a merce di contrabbando, da acquistare solo nelle botteghe locali. Il sapore, d’altronde, era piuttosto acido e, spesso, veniva consumato dalle classi meno abbienti, condito, magari, con salse piccanti o a base di acciughe salate.

Un manufatto simile, per molti versi, ai Correnti, ingredienti principi della pasta ‘atterrata’, adatto, grazie alla sua ruvidezza, a trattenere il condimento.

Ad oggi, si distingue tra le portate più rinomate dei ristoranti tipici. Pietanza regina di occasioni conviviali, feste e sagre. Condita, in genere, con olio extra vergine, aglio , peperoncino tipico del posto, alici e mollica di pane tostata, dal 2015 rappresenta a pieno titolo il ricco patrimonio culinario del territorio.

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