A Milano, sulle tracce dell’Assenzio e i suoi fratelli…
Quando si dice ‘decadente’. Quando si pensa ad un che di melanconico. Quando anche un aperitivo può assumere un sapore ‘dandy‘. Così è per lo speciale gin tonic a base di Assenzio, servito presso Norah was drunko. Il cocktail bar in zona Lambrate, lo associa, in assaggio, ad una portata di sardine al limone, oppure sgombro al curry e peperoncino. Tanto per non tradire le attese.
Ebbene, per volere dei proprietari, Niccolò Caramiello e Stefano Rollo, il rinomato distillato verde si ri-sdogana, nella più recente versione, in accompagno alle conserve di pesce portoghesi. ‘Libera‘ da oltre venti anni, la bevanda rimane, tuttavia, ancora sconosciuta, per via del lungo protrarsi del proibizionismo.
Da riscoprire, dunque. Se non altro, per sfatare l’alone di mistero che la circonda. E sono numerose le leggende che l’accompagnano: artisti e intellettuali sedotti dalla Fata Verde; delitti, commessi dopo averne sorseggiato appena due bicchieri… La verità è – come spesso accade – assai più banale. Fu bandita, agli inizi del Novecento, nella speranza – vana – di contravvenire all’alcolismo (era super economica e, pertanto, accessibile a tutti); oltre che per le pressioni dei produttori di cognac e vino, che ne temevano la concorrenza.
Ma torniamo a noi…
L’assenzio torna, ora, in una drink list. “In realtà, nei cocktail è usato già da tempo, aggiunto in piccole dosi, per dare sprint a ricette classiche“, viene fatto notare. La differenza è che, da queste parti, finisce per rendersi protagonista, inserito con generosità. Lo si rintraccia, in buona dose, nei cocktail tradizionali: nel Mule e nel Bloody Mary;
sostituisce la vodka (e diventa Absinthe Mule e Absinthe Mary); nell’Absinthe Julep, interpretazione dell’americano Mint Julep, prende il posto del bourbon; nell’Absinthe Express, variante di un Espresso Martini, si sposa – invece – al caffè con la mandorla del sud Italia.
Non solo…
Viene rieditato, sempre nel locale, anche il rito, tutto francese, della consumazione con la fontana. Insieme ai bicchieri colmi di assenzio, arriva ai tavoli una scenografica caraffa Liberty, accompagnata da cucchiaini traforati e zollette di zucchero. Il divertimento è spingere il bicchiere sotto al rubinetto della fontana e, dopo avergli messo sopra il cucchiaino con la zolletta, lasciare che l’acqua ghiacciata diluisca il distillato. “L’artemisia, uno tra i botanici dell’assenzio, è amara; lo zucchero serve ad addolcire, mentre l’acqua abbassa il grado alcolico, piuttosto alto“.
Una pozione che, a questo punto, assume un che di intramontabile; che spicca regina, in un posto arredato con gusto e partecipe di un ingegnoso lavoro di recupero. Le sedute erano, in origine, tapparelle; il fronte del bancone una panchina; tavolini e sgabelli nascono dall’assemblaggio di diverse assi.
Ad affiancare quello che potremmo considerare il cavallo di battaglia, tequila, whisky, rum e tutti i più noti liquori, offerti in assemblaggi rielaborati con equilibrio e modernità. La gastronomia è sostanzialmente a base di pesce: oltre alle conserve made in Portogallo (sardine, acciughe, baccalà), assaggi di salmone nero dell’Atlantico, polpo e ostriche. Insomma, non manca l’allure di una certa Francia Coloniale, rievocazione di inizio ‘900, estrapolazione delle atmosfere del quartiere vecchio di New Orleans o di Montreal.
Un clima decisamente retrò, suggellato dal giusto quantitativo di mistero ‘non scritto’, né palesato. Tutto studiato al millimetro, compendio di fascino ed esotismo.
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