Don’t worry darling… che qui sei al sicuro
Lì, dove tutto è possibile. Immaginate una comunità, una di quelle piccole, in stile anni ’70. Il luogo in cui splende perennemente il Sole e le case sono tutte, incontrovertibilmente, tirate a lucido. La piega, ad arredare le chiome delle donne, è impeccabile e i mariti… beh… loro tengono le redini del matrimonio.
La società ideale è guidata da Jake – alias Harry Styles e Alice (Florence Pugh) ma, come spesso accade, non tutto è come sembra. Il quadro inizia a scricchiolare, dopo alcune prese di consapevolezza da parte di una lei, devota e sottomessa. Dunque, a rovinare l’idillio entra in scena Olivia Wilde, la vicina di casa della coppia, che porta con sé un carico di ombre.
Si racconta, per sintetizzare, di abusi, uguaglianza, bellezza, caos. E Don’t worry darling (in anteprima mondiale alla Mostra d’arte cinematografica di Venezia e nelle sale dal 23 settembre) si presenta già come evento. Un’opera fuori concorso, ma intrigante, quel tanto che basta e pure di spessore.
Nel microcosmo di Victory – questo il nome della località, da cartolina – non esistono dissidi. Sorta di realtà sperimentale, qui la vita si esprime come inserita in una bolla protetta, al cui esterno, il resto è nulla. Ogni mattino gli uomini si recano a lavorare ad un progetto top secret; mentre le mogli, tutte amiche tra loro, restano a casa a prendersi cura dell’abitazione, prima di andare insieme, magari, a fare shopping.
Tutti – insomma – danno l’impressione di aver raggiunto un senso di appagamento, che non chiede nulla di più. E se fosse solo una menzogna?
In quella che potremmo definire come l’iconografia di un’epoca – la statunitense, targata Happy Days – tinta dai colori pastello, in cui l’educazione, all’ordine e alla precisione, scandiscono i ritmi di una vita, succede qualcosa, a scompaginare tanta grazia e simmetria. E via via, quel che suscitava pace nello spettatore, inizia a produrre un lento ma progressivo fastidio.
Il Nirvana in cui ci si ostina a far regnare calma buon umore, altri non è che la sede, in cui il libero arbitrio viene deliberatamente schiacciato. La figura della donna gioiosa, nell’idea di allietare il riposo del guerriero, mera appendice di figli e marito, scivola via, lasciando il posto a consapevolezze diverse e quel che si mostrava lindo, comincia a rivelare il suolato sinistro.
Coercizione, che si spinge subito oltre la lusinga. Potere, edulcorato sotto le spoglie del concetto di Amore. Disattenta e narcisistica visione di un mondo che non esiste e forse, a ben guardare, neppure vorremmo – sia pure isola felice – trovarvi refrigerio.
Inganno, alla stregua di lupo travestito da agnello…
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