Benvenuti a Timbuctù: El Dorado fatato, glorioso, leggendario…

Benvenuti a Timbuctù: El Dorado fatato, glorioso, leggendario…

Da qui a Timbuctù di spazio ce ne corre, eppure spesso, la meta, tanto esotica quanto lontana, è sulla bocca di molti. La nominano, nell’intuibile accezione di una località misteriosa e, al tempo stesso, carica di tesori, risorse… Luogo, non di meno, atto a rinomati scambi culturali. E, in effetti, nell’idea soggiace un che di realtà, perlomeno in riferimento al periodo di massimo splendore della civiltà che, a lungo, l’ha abitata.

Prima del declino di cui è stata protagonista, infatti, la città del Mali rappresentava il punto nevralgico, per quel che riguarda le relazioni commerciali tra l’Africa del nord e l’Africa nera, rotta di prestigio e – va da sé – di enorme potenza. Sorta di El Dorado, leggenda vuole che – addirittura – l’imperatore Mansa Musa abbia raggiunto La Mecca, con una carovana carica di polvere d’oro.

Oggi, certo, i tempi sono mutati ma il fascino di allora rimane intatto. Non a caso, nel 1988 è stata introdotta tra i Patrimoni dell’Umanità UNESCO; selezionata, negli anni 2000, tra le finaliste, nella scelta delle Nuove sette meraviglie del Mondo.

Volendo circostanziare, quindi, la meta, magari nell’intenzione di un viaggio, va detto che si trova a pochi chilometri dal fiume Niger, immersa nel semideserto del Sahel. Sito isolato, dall’habitat arido, in cui il clima caldo, desertico e secco non prevede la presenza di piogge. Non a caso, le abitazioni sono realizzate con il fango; mentre le strade sono, per la maggior parte, sabbiose. Le temperature, poi, sono straordinariamente alte (massime di 40°, da aprile a giugno) e notevole è, pure, l’escursione termica.

Ciò stabilito, da vedere – e non è una sorpresa – c’è tanto, a partire dalle Moschee. Quella di Djinguereber sorprende, ad esempio, per i materiali che la compongono: terra, paglia, fibra e legno, eccezion fatta per la piccola parte calcarea, a sostenere la facciata nord. Lo spazio interno, poi, con le tre corti e i due minareti, è talmente ampio da poter ospitare fino a 2000 persone, per la preghiera.

A seguire, in ordine di fama, c’è la moschea di Sankoré, celebre per custodire 700.000 manoscritti arabo-islamici, redatti tra il XIII e il XVI secolo. La più grande raccolta di documenti del continente africano, in cui compaiono – tra l’altro – opere di Avicenna, tra i padri della medicina moderna. Infine, la moschea di Sidi Yéhia, che risale al XV secolo e la cui porta, secondo tradizione, non può essere aperta prima della fine del mondo.

Per non parlare delle rinomate case degli esploratori che giunsero in epoche differenti e del mercato principale, immancabile da visitare.

Come giungere alla meta non è impresa facile, ma vale la pena tentare…. Il modo più usuale e sostenibile è via fiume, tramite un battello o una pinasse. Tuttavia quando, specie nella stagione secca, la strada non è percorribile, poiché il livello del fiume è troppo basso per la navigazione, gli aerei, oppure gli autobus che partono da Bamak, rimangono opzioni altrettanto valide.

Tenete presente, però, di negoziare con largo anticipo anche il viaggio di ritorno. Per via della posizione isolata, eventuali difficoltà nel ripartire, una volta arrivati, potrebbero esacerbare il viaggio. In alternativa, altra soluzione è quella dell’auto. Si parte da Mopti e, da qui, occorrono circa 12 ore, per arrivare a destinazione.

La traversata in carovana? Ipotesi suggestiva ma, pure, pericolosa. Si raggiunge Timbuctù attraversando il deserto, in 40 ore. Assai più che un’avventura, una vera e propria impresa, test ai limiti della resistenza fisica, considerando anche il fatto che, una volta in cammino, non è possibile tornare indietro. Vero è che, per un traguardo tanto ambito, vale pur sempre la pena rischiare…

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