‘Only children are still stereotyped as selfish and spoilt’

‘Only children are still stereotyped as selfish and spoilt’

Già: egoisti e viziati e ce lo potremmo ripetere in tutte le lingue e all’infinito. Che, poi, si tratti unicamente di stereotipi, questo, è tutto da verificare. Di fatto, da sempre, i figli unici sono ritenuti il prodotto di un’educazione ‘ a parte’, che li forma, di più, li plasma, differentemente dagli altri.

Insomma, assai più banalmente e secondo l’accezione comune, figli e figliastri ma, a ben guardare e come spesso accade, c’è, insito, qualcosa di più ‘sottile’. Un sotto testo, meno roseo dell’apparenza.

Così, chi viene a trovarsi nella suddetta condizione, si vede quasi costretto ad inseguire una sorta di sdoganamento da un pensiero che, solitamente, non lo considera di buon occhio.

Quando conoscevo qualcuno e rivelavo di essere figlia unica – c’è chi racconta – “mi piaceva sentirmi dire: ‘Oh, non l’avrei mai detto!’. Ho imparato a fornire le ragioni per cui ero venuta su bene“. Sfatare i dubbi, in sintesi. Rovesciare la medaglia… Falso mito che prevede, nell’ordine, un atteggiamento egocentrico, un fare prepotente, accentratore e una ridda di difetti che, probabilmente, si fa fatica a smentire.

Pregiudizi, che trovano origine già a fine ‘800, elaborato di uno tra gli esperti più rinomati dell’epoca: tale Stanley Hall (1846- 1924). Affermava, lo psicologo e pedagogista statunitense, che, coccolata e assecondata oltremisura dai genitori, la prole priva di fratelli e sorelle, ai tempi una minoranza, crescesse ipersensibile e narcisista. Sorta di malattia, tanto da parlare, al riguardo, di una vera e propria sindrome.

Più o meno in contemporanea, Alfred Adler (1870- 1937), psicologo viennese discepolo di Freud, prese a sottolineare, da parte dei soggetti in esame, anche una manifesta difficoltà nel socializzare, con tanto di accuse mirate, nei confronti di chi, padre e madre, decidesse di fermarsi al primo pargolo.

Vero, magari o almeno in parte ma, ci si chiede, educazione, esperienze personali, livello di istruzione, età dei genitori, persino o legami con gli amici e via dicendo, contano davvero tanto poco?

Sul finire degli anni ’80, Toni Falbo e Denise Polit, psicologhe presso l’Università del Texas, ad Austin e, a loro volta, figlie uniche, hanno condotto un’ampia analisi, allargata a 141 soggetti. Ebbene, ne è emerso che, sebbene i punteggi in termini di successo, motivazione, adattamento personale e facilità nelle interazioni con gli adulti risultassero facilitati, rispetto ai coetanei con fratelli e sorelle, nel complesso, tutto il resto rimaneva invariato. Unica eccezione, il legame, evidentemente più forte, con mamma e papà.

Ancora, una ricerca, condotta nel 2019 da Samantha Stronge, insieme ad alcuni colleghi dell’Università di Auckland, ha cercato di risolvere definitivamente la questione. Secondo lo studio, i ‘nostri’, è vero, godono di potenziali vantaggi, che vanno dall’universo emotivo a quello economico. Ciò non di meno, la privazione di un fratello può influire negativamente sullo sviluppo della personalità. Vengono a mancare, infatti, esperienze di socializzazione, all’interno delle mura domestiche. Rovescio della medaglia: si è portati a sviluppare una maggiore creatività, dovendo inventarsi tutta una serie di escamotage anti noia e ottenere risultati più convincenti a livello accademico, poiché meno distratti e meglio seguiti.

Il campione preso in analisi comprendeva, in questo caso, 21mila adulti, con l’età media di 50 anni (63% donne), di cui l’88% identificato come europeo neozelandese. Da un questionario, che conteneva domande che riguardavano coscienziosità (“Faccio subito le faccende domestiche”), estroversione (“Sono l’anima della festa”), empatia (“Sono solidale con i sentimenti degli altri”) e aspetto umorale (“Ho frequenti sbalzi d’umore”) è emerso che il ricavo dei profili era paragonabile a quello generale. Responso, confermato ulteriormente da una ricerca condotta, nel 2021, dall’équipe della Shaanxi Normal University di Xi’an, Cina.

L’idea, errata, trova, dunque, le sue radici nella convinzione che l’attenzione dei genitori, gonfiata, possa condurre ad un comportamento egocentrico. Ci sta. Eppure, ormai da qualche decennio, in piena antitesi, si pone l’accento sui plus. Alla categoria appartengono persone enormemente motivate, spesso dotate di un vocabolario ampio e forbito. Senza tralasciare il fatto che, in caso di forti tensioni, non esiste, per chi è solo, alcun tampone. Altro che rose e fiori. Qui, davvero, sono guai!

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