Amaxofobia… ora siamo terrorizzati persino di guidare
Timore del buio, degli spazi aperti… paura – persino – di guidare. A spiegare, nel dettaglio, il disturbo, anche conosciuto come Amaxofobia (dal greco amaxa: carro e fobos: timore) è il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, testo di riferimento per chi è del mestiere.
Se ne parla come di l’ansia marcata, persistente, sproporzionata di mettersi alla guida di un veicolo, tipico esempio di fobia, di tipo situazionale. Angoscia che, al volante, può colpire donne e uomini di tutte le età e si può scatenare non solo nel momento in cui ci si posiziona effettivamente al sedile, ma anche – spesso – quando ci si aspetta di doverlo fare. Basta, insomma, l’evocazione.
Un sintomo, in genere, riscontrabile – pensate un po’ – proprio in chi la patente ce l’ha già.
“Si tratta di un fenomeno in espansione ed eterogeneo“, parola degli esperti. “Va da lievi preoccupazioni e disagi occasionali ad alti livelli di ansia, che possono sfociare in veri e propri attacchi di panico. Nei casi più gravi, il disturbo – si prosegue – può diventare invalidante, riducendo l’indipendenza, la mobilità, il benessere e compromettendo l’attività lavorativa e i rapporti sociali“.
I sintomi
Un‘affezione completa, qualora sempre presente e se, di fatto, impedisce di guidare l’automobile; oppure parziale, scatenandosi in circostanze specifiche: in assenza di una persona al proprio fianco; di notte o al buio; in autostrada e su strade a scorrimento veloce; in presenza di gallerie, ponti, viadotti o di traffico intenso o, ancora, di fenomeni atmosferici avversi, come pioggia battente, nebbia, vento, neve, ghiaccio.
In particolare, l’apprensione interpreta l’angoscia di perdere il controllo del veicolo, provocare o subire un incidente, restare bloccati nel traffico, perdere l’orientamento o smarrirsi.
Tanti gradi per una stessa problematica
Una vera e propria fobia, agevolata, talvolta, da uno scarso livello di autostima, in associazione all’esagerata necessità di controllo. Quanto di meno probabile, in auto. Fanno da raccordo anche eventuali esperienze traumatiche: incidenti, guasti al veicolo… vissute in prima persona o accadute, magari, ai propri cari e può avere, la malattia, pure radici più profonde. Nascere, cioè, dall’ansia di separazione o dal desiderio, più o meno consapevole, di mantenere un rapporto di dipendenza nei confronti della rispettiva famiglia.
Dunque, i sintomi sono semplici da rintracciare. Includono respirazione affannosa (dispnea), accelerazione del battito cardiaco (tachicardia), vampate di caldo o di freddo, sudorazione profusa, aumento della pressione del sangue, bocca secca (xerostomia), tremori e, nei casi più gravi, sensazione di svenimento o soffocamento, dolore al petto, nausea e capogiri.
Come procedere, nel caso ci si renda conto di essere vittime della patologia? Occorre, di certo, rivolgersi ad uno psichiatra. Un colloquio, coadiuvato da appositi questionari aiuteranno ad un’anamnesi mirata.
Una volta appurata la questione, è bene agire tempestivamente. L’importante è che la terapia sia personalizzata, adeguata alle caratteristiche e alle necessità di ciascun paziente. Una psicoterapia di tipo cognitivo-comportamentale, “mirata a insegnare all’assistito il modo migliore per gestire pensieri e azioni, quando si trova faccia a faccia con ciò che lo atterrisce“.
In fase di seduta, la progressiva esposizione agli stimoli provocherà una lenta desensibilizzazione. Provocazioni concrete o, in alternativa, frutto dell’immaginazione.
Gli incontri che, di solito, si tengono una volta la settimana, per la durata di circa 45-60 minuti l’una, si protraggono dai sei-otto mesi, in base alla gravità della situazione. Nei casi più ostici, non è esclusa l’aggiunta di farmaci antidepressivi, anche questi da somministrare sotto stretto controllo medico.
Soluzioni pronto uso
A più largo raggio, bastano, per contravvenire al tutto, anche solo semplici strategie. Portare regolarmente la vettura da un meccanico, per sincerarsi del buon funzionamento di motore, freni, frizione, fanali e quant’altro. Durante il percorso, ascoltare musica e fare respiri lunghi e profondi. Iscriversi a un corso di guida sicura e così via.
Tutto ciò, potremmo dire, in funzione dell’amigdala. Quest’ultima, tende infatti a rendersi iper-reattiva, prendendo il sopravvento. Ecco, allora, che si innescano risposte esagerate, anche di fronte a stimoli irrisori. Aumenta, in pratica, l’irrorazione sanguigna, a scapito delle zone corticali, diversamente e al contrario dei ‘non fobici’. Un sistema di allarme, peraltro, non solo estremamente ricettivo, ma che più lentamente torna allo stato di quiete.
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