La parabola inesorabile firmata Reality

La parabola inesorabile firmata Reality

Dire che, a suo tempo – era il settembre del 2000 – aveva tutta l’aria di un che di rivoluzionario. Una sorta di esperimento sociale, benedizione per le Reti Mediaset, in cui il grande occhio del pubblico era pronto a spiare, attraverso lo sguardo delle telecamere, umori e dissapori di una serie di individui sconosciuti e estranei tra loro, disposti a mostrarsi, nell’arco delle 24 ore e per diversi mesi, senza inibizioni né filtri.

Facciamo il punto. Marzo 2023. L’edizione di quest’anno è iniziata circa 6 mesi fa e già questo, da solo, è un dato evidente che qualcosa è cambiato. Perso il sapore della ricerca scientifica, la faccenda si è via via trasformata in … tutt’altro. Divenuti noti i meccanismi, una vetrina, per alcuni; una fonte di guadagno o di rilancio, per altri. Poi, ancora, non paghi, si è trascesi, trasformando un gruppo, più o meno coeso di persone, in animali, messi in cattività.

La prigione, seppur dorata, è pur sempre tale e come tale richiede tempra da vendere. Ebbene, non tutti la possiedono. Non i cosiddetti giocatori e neppure i conduttori. Tanto meno gli opinionisti e, ci stiamo accorgendo o ci siamo già accorti da un po’, neppure il team autorale. Sempre meno idee, sempre più ovvietà ed uno spettacolo che, invece di invogliare lo spettatore alla curiosità o all’ilarità, risulta, il più delle volte, squallido, se non addirittura triste.

Così è, per il Grande Fratello Vip, intrappolato, giorno dopo giorno, nelle proprie dinamiche – o dovremmo definirle miserie – al punto tale da non saper più distinguerne i come, i cosa, i quando… Ieri, l’ennesima puntata. L’ennesima malinconica coreografia di una rappresentazione che dà malessere, punto.

La prima riflessione è semplice, elementare e cioè, come si può pensare di tenere chiuse, in una casa, persone che neppure si sono scelte, per un periodo così protratto? Lontane dagli affetti personali, inconsapevoli di quel che accade fuori… Topi in gabbia. Ben remunerati, certo, ma davvero giustifica?

Secondo pensiero: Pier Silvio tuona e tutti sull’attenti. Così, almeno, ci viene raccontato; ma siamo sicuri che il problema, quello vero, sia rappresentato dalle parolacce? Il turpiloquio, certo, non è cosa di cui vantarsi, ma quel che colpisce e ferisce va ben al di là di un lessico colorito. Ciò che si riflette sulla sensibilità di chi guarda sono gli animi esacerbati. Sono le continue provocazioni, gli schemi ‘malati’ – che a questo punto non sapremmo definirli altrimenti – di un gioco, che pare aver preso il sopravvento sulla realtà.

E forse le vere vittime sono proprio loro, gli inconsapevoli – o consapevoli, a seconda dei casi – protagonisti di un elaborato, di per sé, evidentemente, troppo sottile, per risultarne preparati. Meno preparato ancora è chi tenta i metterci una pezza e, nell’idea di riparare, inciampa ulteriormente, sfigurando il ritratto di un’umanità che si era prestata, comunque, ben volentieri e che, alfine, ne esce distrutta. Niente o poca, molto poca, dignità da salvare. Del resto è questo il prezzo della celebrità… o forse no?

E’ raccapricciante assistere a scene di idolatria indistinta dove, a sostegno di chi piange, in casa, viene lasciata la parola alla fan di turno che, anziché sostenere il/la personale beniamino/a, chiede, invece, un saluto, una dedica particolare… pretende, insomma, il saldo per continuare ad applaudire.

Che differenza c’è tra questo circo e i combattimenti fra gladiatori o quelli in cui gli schiavi venivano lasciati in pasto ai leoni? Pollice su, pollice verso. In fondo, a ben guardare, il principio è lo stesso. Cambia, semmai, la messa in scena, ma la crudeltà operata sulle vittime è solo più sofisticata e suona tanto di mistificazione. Assume il sapore del bullismo perpetrato a più riprese, unicamente perché si è accettato di partecipare.

Basta una firma e la propria vita è spiattellata in faccia alla gente, che di questo si ciba; che giudica, parteggia, condanna. Fragilità, scivolate, disorientamenti… fanno parte dell’umana natura. Rappresentano il comune pane quotidiano. Il resto no. Il resto è tessuto ad arte, per fare ascolti, per muovere i numeri e si dà l’addio al senso critico.

Il punto è che, per cucire, non basta un sarto qualunque. L’improvvisazione non ha mestiere. Occorrono, piuttosto, mani sapienti. Servono un’abbondante dose di delicatezza, di coscienza, di conoscenza. Scomparse chissà dove, queste ultime e chi, pure, le possiede, deve ben guardarsi dal rivelarle, preda da cannibalizzare, poiché così vuole l’intrattenimento.

Vince chi… chi recita meglio? Chi si scherma di più? Chi ha la forza per resistere agli attacchi, da dovunque provengano o sa come adoperarli a proprio favore? Banale, sembra, in vero, che siano tutti a perdere.

Chi assiste, chi manovra le fila di una giostra ormai allo sbando; chi, suo malgrado, è voluto salire e, adesso, non sa più come scendere.

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