Non è vero, ma…

Non è vero, ma…

Gesti scaramantici. Atti propiziatori, che ci rimettono – talvolta – in pace con noi stessi. Ci rassicurano, come solo certe piccole cose possono fare. Apparentemente insignificanti, riescono, invece, a ridarci l’equilibrio. Chiedono poco; psicologicamente, valgono tanto.

Cerimoniali, come il non indossare, ad esempio, in scena, il viola; ripetere determinati comportamenti; evitarne altri… che ci convincono che, poi, tutto andrà bene.

Alla ricerca della buona sorte, ci introduciamo, così, in un mondo composto, pure, per buona parte, di superstizioni e credulerie. Rompere uno specchio o far cadere il sale – per dire – entrambi preziosissimi nell’antichità, era considerato, sin da allora, una sventura. Allo stesso, modo, vedere un gatto nero che attraversa la strada; apparecchiare per 13 (tanti erano gli apostoli, durante l’ultima cena insieme a Gesù).

A tal proposito, Leonardo di Caprio racconta: “da ragazzino, il mio problema erano i marciapiedi. Da casa a scuola, dovevo sempre mettere i piedi sugli stessi blocchi. Addirittura, sulle stesse crepe del cemento“. Già, poiché la scaramanzia invade, trasversalmente, più o meno tutti.

L’idea che una nostra azione possa allontanare la cattiva sorte è una forma di pensiero magico“, spiegano gli esperti. E’ un modo di pensare dei bambini, convinti che i nostri gesti possano influire sulla realtà circostante. Una suggestione di quando eravamo piccoli, che riaffiora anche da grandi; e rassicura.

Atteggiamenti, spesso legati a luoghi, vestiti, cibo, incontri… poiché “il rituale nasce da una falsa associazione di causa-effetto“, che cerca di ritrovare presunte condizioni favorevoli e, da lì, si accanisce a ripeterle. Tipico meccanismo evolutivo, quest’ultimo. Vale a dire che se l’uomo primitivo aveva mal di pancia per aver mangiato una bacca, in seguito, evitava di toccarne.

Tuttavia, come sovente accade, esiste una linea rossa da non superare ed è quella oltre la quale il pensiero diventa invalidante. Finché un’azione resta una specie di gioco consapevole, allora nulla di male. Anzi, può rivelarsi addirittura un anti stress. Diversamente, però, si trasforma in una trappola, da cui rimane difficile svincolarsi.

Altro dettaglio, non da poco: si tende a pensare quasi sempre in negativo. La comune formula recita: “se non faccio questa cosa, andrà tutto male“. Ci proteggiamo, insomma, prima ancora che dirigerci alla ricerca di un buon auspicio. Cerchiamo di allontanare quel che di “brutto” riteniamo ci possa capitare, introducendoci – con la fantasia – in un mondo assai più minaccioso di quanto non lo sia in verità.

Come se ne esce? Già la presa di coscienza è un buon inizio. Occorre – ciò non di meno – per interrompere la pratica – un approccio, lento e graduale. ” Se, ad esempio, non riesco proprio a salire su un aereo, senza la mia maglietta verde, potrei accontentarmi di tenere un oggetto verde, in tasca. Conservarlo vicino, in pratica e non addosso. Un giorno, potrei finire per rendermi conto che, anche senza niente di verde attorno, il viaggio è stato ugualmente bellissimo…“.

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