X Factor: ‘tripudio di cultura’. Ma noi perché non ce ne siamo accorti?
Della serie: viva la modestia!
Mentre si susseguivano le voci in merito ad una sua possibile uscita da X Factor, Morgan, in un intervento scritto di proprio pugno, tracciava le linee di un eventuale rientro in Rai, non senza – prima – aver fatto notare il ” tripudio di cultura” , dono al talent di cui è stato giudice e aver riconosciuti “la genialità dei miei tre compagni di banco, senza i quali non sarebbe stata possibile una spettacolarizzazione della musica, così“.
Ha voluto sottolineare, il giudice o ex tale, “la levatura del repertorio che si è messo in scena“, arrogandosi il merito – ovvio – di aver alzato “l’asticella“.
Ultimo – ennesimo – commiato dal programma Sky: “La mia missione da ‘007 al servizio della Rai’ è ormai compiuta e X Factor sarebbe, di fatto, pronto per tornare in Rai. Non penso che succederà, perché merita che rimanga a Sky, in una rete che ci ha creduto ed è giusto che ne goda i benefici. Io, invece, sono pronto per tornare a casa con ‘StraMorgan’, nel luogo da cui provengo, quello del servizio pubblico“.
La fine di un’era?
C’è da chiederselo, visti i frequenti amori e disamori a cui ci ha abituati l’ex voce dei Bluvertigo, in tutti questi anni.
“Un tripudio di cultura a X Factor, a dimostrazione che questo Paese è pronto per il risveglio popolare e il vero vincitore, in tutto questo, è il pubblico. A giudicare dall’intelligenza e la levatura dei commenti che ho letto su Instagram, segnale di un pubblico pensante. Segnale” – pure – “che è ora di tornare a fare della televisione un posto dove si imparano cose e ci si emoziona, non un ricettacolo di spazzatura, come è stato negli ultimi anni. Era necessario il mio intervento, diciamo la mia missione, ma non voglio prendermi tutti i meriti, perché è un lavoro di squadra e la squadra, in questo caso, è davvero una compagine insospettabile di talenti e competenze al lavoro“.
“La levatura del repertorio che si è messo in scena” è “decisamente molto più che valido, il che potrebbe sembrare un miracolo in una realtà di tv generalista globale, ma è bastato alzare l’asticella e gli altri si sono sentiti liberi di spaziare e attingere dalla loro vera profonda conoscenza della musica, generando idee raffinate, impensabili solo poco tempo fa“.
Ah, Marco, Marco!
Prosegue, il nostro: “Fedez, che porta gli Skiantos e la Carmen di Bizet, per non parlare di Eleanor Rigby; Ambra, che sfodera il primo James Brown e con nonchalance un Otis Redding, che io neanche conoscevo; Dargen, che fa cantare il punk e le canzoni d’autore a un rapper e che, ad un bravissimo cantautore, affida addirittura Jaques Brel! Ditemi se questo non è un miracolo, per la musica e il pubblico partecipe e goloso“.
Un supporto, secondo l’artista, tramite il quale “mi è stato possibile mettere in scena cose più che ardite, come pezzi dei Genesis, dei Beach Boys, di Gaber, di Bowie, l’album bianco dei Beatles, il Fossati più nascosto, insomma una ventata di musica vera e meravigliosa che fa da perno, sul quale si muove un dibattito a più voci“.
Flusso di critica e stampa…
…che “si accende per tutta la settimana, tra una puntata e l’altra. In cui si parla finalmente di musica, dove gli argomenti sono l’armonia, gli accordi, il valore politico dei testi e il senso sociale delle canzoni. Sul web, sui quotidiani, dove normalmente eravamo abituati e rassegnati a vedere fiumi di trash e di vuoto cosmico“.
“È una soddisfazione poter contribuire alla creazione di tutto questo“. Già, talmente tanto soddisfatto… da abbandonare – volutamente o per vie indotte – il carrozzone. “Sono pronto per tornare a casa… nel luogo da cui provengo, quello del servizio pubblico, che mi appartiene linguisticamente e a cui, da più di vent’anni, presto il mio servizio, nell’idea che sia il posto dove arte, cultura, politica e società si incontrano, per edificare l’anima e il progresso di questo Paese“.
Meritevole, bellissimo, esaltante. Peccato che esistano i telefonini, che tutto riprendono, indistintamente. Peccato le scivolate, le calate di stile… Peccato non essere scesi dal carro prima che quest’ultimo, dal peso, iniziasse a scricchiolare. Peccato, anche, le discussioni tra colleghi. Quelle poco edificanti, sia chiaro.
Peccato – in sostanza e date le premesse – aver perso l’occasione, ancora in questo caso – per valorizzare un percorso che, almeno in potenza, sarebbe potuto essere sul serio, se non rivoluzionario, almeno interessante. Invece – amor di spettacolo? – di più hanno potuto le invettive, gli alterchi, i battibecchi e l’arroganza di mostrare il proprio ego, a tutti i costi.
Peccato, appunto e peccato veder morire uno spettacolo – parlano i numeri – nato, piuttosto, non solo per fare spettacolo. Peccato, dall’egregio Signor Marco Castoldi ci aspettavamo – noi che evidentemente davvero ne stimiamo la materia grigia e il meritevole sapere – di più… Come direbbe qualcuno: “Tanto di più!“
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