Dior e la sua mostra, a sostegno delle donne

Dior e la sua mostra, a sostegno delle donne

Amore… e arte; o meglio, amore per l’arte. Quella declinata, in particolare, al femminile. Già, perché l’universo della ‘metà fragile’ dell’umanità ha sempre avuto tante cose da dire e gli animi sensibili se ne sono accorti.

Così è, ad esempio, per Christian Dior che, prima di intraprendere la collaborazione con il designer Robert Piguet aveva aperto, nel 1928, grazie anche agli aiuti finanziari del padre, una piccola galleria d’arte. Negozio, che dovette chiudere nel giro di pochi anni. Eppure, l’esperienza si rivelò significativa, nel destare l’interesse del nostro nei confronti delle artiste donne. E proprio all’argomento è dedicata la nuova mostra a La Galerie Dior, nello storico flagship del marchio, in quel di Parigi.

Fino al 13 maggio 2024 sarà possibile ammirare le opere di quante abbiano apportato un contributo efficace all’estetica della casa di moda. Si incomincia con un dipinto di Leonor Fini, originario degli anni ’30, per passare alla scultura Nana, datata 1967, di Niki de Saint Phalle, in omaggio alla sua amicizia di lunga data con l’allora direttore creativo Marc Bohan. Un’eredità significativa che Maria Grazia Chiuri, direttrice artistica del womenswear dal 2017, ha raccolto e reinterpretato, componendo pezzi storici e lavori recenti; opere appositamente commissionate e contemporaneità.

Così, subito all’ingresso ci si imbatte nella maglietta di Niedermair, con lo slogan We Should All Be Feminists, parte della collezione di debutto della stilista. Un’intera sala è dedicata a Chauvet, messicana famosa per le sue installazioni Red Shoes, composizione di decine di paia di scarpe rosse, che hanno occupato le piazze di 27 Paesi, in memoria delle vittime di femminicidio. Un fil rouge, che ha unito le due anche in altre occasioni. Volontà univoca di lanciare messaggi, volti a sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della violenza contro le donne.

Con Maria Grazia è successo qualcosa di molto magico. Era come se condividessimo la stessa energia o sincronicità. Quindi, è stato uno sforzo congiunto“.

Sforzo, che è scaturito in una nuova serie di oggetti per la mostra, dalle versioni in tela di modelli di giacche Dior vintage, arricchiti da messaggi come Mi derecho es decidir (È mio diritto scegliere) o Ni soy de tu propiedad (Non sono di tua proprietà), esposti accanto ai ritratti di Maya Goded. “La stanza con i vestiti è spettacolare. È magnifica. Sono profondamente commossa dal modo in cui hanno scelto di mostrare il mio lavoro“, spiega l’artista.

Ma c’è anche chi, vedi Katerina Jebb, non ama definirsi femminista. “Non credo nell’arte di genere, in realtà“, ha puntualizzato la britannica, che collabora con Dior dal 2018 e che, in mostra, porta le sue opere digitali, realizzate assemblando decine di immagini scansionate. “Penso che sia solo una questione di emozioni“, precisa. Sempre sua, l’interpretazione dell’iconica giacca Bar di Dior, in una sala che esplora i modelli più originali introdotti dallo stilista e le successive reinterpretazioni dei diversi direttori artistici. “È un santuario dell’eleganza e del passato…“.

In una sala, trovano posto striscioni ricamati disegnati da Judy Chicago per la sfilata Dior Haute Couture Primavera 2020, mentre il cabinet de curiosités mette in mostra borse Lady Dior personalizzate, nell’ambito del progetto annuale Dior Lady Art. Non mancano le fotografie a grandezza naturale della giapponese Yuriko Takagi, che nei suoi scatti immortala ballerini in movimento, mentre indossano modelli vintage della Maison. Ad ogni foto è accostato – ovviamente – l’abito originale, in una corrispondenza di intenti, evidente da subito ma comprensibile in toto, solo dal vivo.

La galleria vuole essere una sorta di laboratorio… vuole dimostrare che la moda è un oggetto, ma può anche diventare un soggetto, in virtù dei messaggi che porta con sé“.

Il messaggio di cui si veste oggi, 25 novembre 2023, è ‘amiamo le donne!’

PARLIAMO UN PO’ DI DONNE

LEGGI ANCHE: Manuale del giovane femminista… o dell’uomo ‘sensibile’ che non temeva di esserlo