Tolkien: storia di una trilogia raccontata in un libro
Un successo, interplanetario. Uno scritto, tra quelli ‘predestinati’, le cui vicende, tuttavia, sono costellate da un cammino di alti e bassi. The Lord of the Rings, destinato a disegnarsi come il capolavoro di J.R.R. Tolkien, uscì in Gran Bretagna tra il 1954 e il 1955 e, in breve, entrò a far parte dell’elenco dei libri più letti al mondo. Decine e decine le traduzioni. Eppure, la storia editoriale della trilogia è ricca di colpi di scena. In Italia, in particolare, la strada per arrivare è stata lunga… rifiutato da Mondadori, prima; poi, nuovamente, in seguito ad un inutile tentativo con Astrolabio. Solo il gruppo Rusconi seppe intravedere i semi di qualcosa di geniale, ma di tempo, oramai, ne era trascorso.
Non solo. Nel 1970, anno della pubblicazione, si creò attorno all’opera una diatriba, dall’essenza politica. Aspetto che, a guardar bene, non fece certo comodo alla sequela di romanzi. Mentre – cioè – in America la Terra di Mezzo diventava rapidamente un luogo mitico per la cultura hippie, in Italia se ne impossessava la destra. Nel frattempo, la sinistra strumentalizzava, a suo modo, il povero Tolkien, doppiamente colpevole, giacché borghese e tradizionalista.
Vicissitudini, per comprendere le quali esce, oggi, pubblicato da Velania La Mendola per Luni Editrice: Tolkien e Il Signore degli anelli. Storia editoriale di un capolavoro (pagg. 160, euro 20).
Nel dettaglio, dunque, viene ricostruito il tribolato percorso. Viene messo in risalto l’intuito geniale del gruppo Rusconi, capace di comprendere “il carattere universale dell’opera di Tolkien” e di fare affidamento su “lettori interessati a forme narrative, distanti dai testi impegnati della seconda metà degli anni Settanta“. Un’opera di seduzione, quella nei confronti del lettore, lenta, misurata, cadenzata nei tempi. All’inizio, le tirature non superarono le 2mila copie. Tuttavia, nel giro di un anno si arrivò alla terza edizione. Nel frattempo – lo accennavamo – il testo si caricò di valenza politica. Deriso ed osteggiato dalla sinistra. Diversamente, gradito alla destra. Del resto, “la narrativa di Tolkien e la heroic fantasy erano, per così dire, più connaturate all’animus del ragazzo di destra, al suo modo di vivere e di sentire, alla sua mitologia, personale e collettiva“.
Il là, per la nascita di gruppi musicali, testate militanti, riviste… insomma, di tutto un po’. Nacquero persino i campi Hobbit, allo scopo di aggregare e avvicinare persone di ogni genere.
Tanto, da dire e da fare. Più potente ancora, il libro stesso, che continuava a mietere proseliti. O meglio, nuovi lettori. Nel 1974, Rusconi passò all’edizione tascabile. Intanto, l’editoria tutta si era data una svegliata. Nel 1973, Adelphi si attrezzò per far uscire Lo Hobbit. Einaudi, a sua volta, giocò al ripescaggio e ripropose Il cacciatore di draghi (1975). Nel 1977, poi, l’edizione tascabile uscì, in un unico volume. Recitava, la prefazione: “Non a caso, The Lord of the Rings è diventato cosi popolare. I bambini vi si ambientano subito e i dotti godono tanto a decifrarlo, quanto a restare giocati da certi suoi enigmi, puramente esornativi. Si rimane stretti in una maglia ben tessuta…“.
Abbastanza, per imparare a fare i conti con la gradevolezza di una lettura piacevole, senza rivestirla di altro che non sia godimento fluido; incontro di intelligenze; stimolo dell’immaginario e tutto quel che segue…
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