Tutti i numeri di Joséphine…

Tutti i numeri di Joséphine…

Ambiziosa. A quel mio nome tanto famoso c’è, associata, soprattutto questa parola. Può un aggettivo declinare un carattere? Evidentemente, per molti, sì. Talmente tanto – lo ero – da condizionare non solo la mia esistenza, ma persino quella del mio legittimo consorte.

Una donna di mondo con un destino romantico. Giuseppina; o meglio, Giuseppina de Beauharnais. Quella che portava i capelli ‘alla Tito’. Quella elegante, ricercata… mai sopra le righe… figlia di ricchi coloni francesi della Martinica, che avevano fatto fortuna con il commercio dello zucchero. E’ lì che trascorsi i miei primi anni di vita.

Volete vedermi come una donna anticonformista? All’avanguardia? Vi accontentate del fatto che avessi sei anni più di Napoleone? Sta bene. Solo che questo fatto era un fatto segreto. Lo sapevamo in pochissimi. Gli almanacchi imperiali indicavano la mia data di nascita nel 1768, almeno cinque anni dopo quella reale. Ma davvero pensate che l’età basti a determinarci? Che siano i numeri a comandare?

Oh sì, a ben guardare i numeri comandano, eccome e, in questa storia, hanno comandato parecchio, ma non nel senso che credete voi.

La mia prima volta… il mio primo anello nuziale lo ricevetti per mano di Alexandre de Beauharnais. Era il 1779. Lui era un generale, che avrebbe avuto un ruolo fondamentale nella Rivoluzione. Forse però non sapete che, inizialmente, non ero io la predestinata, ma mia sorella maggiore, Catherine-Désirée. Poverina, morì di tubercolosi.

Un primo matrimonio, che mi diede due eredi. Notate come i numeri tornino, con ricorrenza? Eugène venne, in seguito, preso in adozione dallo stesso Napoleone e, sotto l’Impero, divenne Viceré. Hortense, più piccola di due anni, era destinata anche lei a gradi cose, così nel 1802 sposò Louis, uno dei fratelli dell’Imperatore; madre, lei, del futuro Napoleone III.

Ero orgogliosa. Non avrei dovuto? Certo, quando Alexandre mi accusò di aver mentito sulla paternità di nostra figlia… beh… Sapete, talvolta il destino traccia il cammino, prima ancora di percorrerlo.

Mi spedirono in convento, esiliata. Mi ci vedete a finire lì i miei giorni? Io? Presto, gli accadimenti mi risarcirono. Mi trasferii a Fontainebleau, un posto prestigioso, frequentato, all’epoca della fine dell’Ancien Régime, dall’alta società.

Insomma, in breve, finì che Lui, il mio caro e devoto marito, lo ghigliottinarono. Dovessi puntare sul 1793 come anno fortunato, eviterei. Io venni – per fortuna – solamente imprigionata. Me la cavai così, con qualche ferita e tanta, tanta pazienza. Scorticata quel tanto che bastava dall’esistenza, per farne esperienza. Ve la semplifico, diciamo che riuscii a risalire la china e a riconquistare il ‘giusto ruolo’. Posizione, nobilitata – se aveste per caso dubbi – dall’abilità e da un carattere deciso. Questo lo rivendico e dovreste riconoscermelo anche voi!

Il 9 marzo 1796 – vi fornisco altri numeri sui quali ragionare – sposai… l’unico uomo, più temerario persino di me. Un ufficiale, giovane, sicuro, sagace, brillante… che mi voleva. Io, Marie-Josèphe, divenni definitivamente Joséphine, coniata per Lui e per passare alla storia, al suo fianco. Lo seguivo. Lo seguii anche in Italia, sul Lago di Garda, durante la sua vittoriosa campagna italiana. Era solo l’inizio. Il 18 febbraio 1799, Bonaparte divenne Primo Console e l’uomo più potente di Francia e quando, nel 1804, fu incoronato Imperatore, io fui insignita, per sua stessa mano, del medesimo riconoscimento. Fu così che passammo alla storia.

Pensate che, all’inizio, il Papa non voleva neppure incoronarci. Pendeva, sulle nostre teste, un matrimonio civile, per cui d’urgenza dovemmo provvedere. Intanto, restavano, stridenti, i rapporti con la sua famiglia e pesava, pure, il fatto di non avere figli.

Non c’era successione e quella sterilità, la stessa di cui fui accusata, mi condusse dritta dritta al divorzio. Era il declinare del 1809. Napoleone sposò, poi, Maria Luisa d’Austria, dalla quale ebbe un figlio, Napoleone II, nel 1811. Due anni a seguire…

Io venni allontanata, naturalmente; e dov’è la novità? Distante dalla corte imperiale, decisi di trasferirmi presso il castello di Malmaison. Se è vero che la vendetta è un piatto che va gustato freddo, vi assicuro che ebbi modo di prendermi la mia rivalsa. Non rinunciai alla vita sociale né, tanto meno, agli sfarzi. L’Imperatore… beh, Lui pagava tutti i miei debiti.

In fondo, non furono tanti gli anni a mia disposizione. 50. Me ne andai a causa di una polmonite, nel maggio del 1814. Buffo, il 2 giugno si tenne un funerale solenne.

Il termine di una carriera da avventuriera. Imperatrice, a rifletterci – suona tuttora strano. Di sicuro, ero una donna di potere e di conoscenze; una, la cui sorte ebbe la compiacenza di mostrarsi eccezionale. Forse, semplicemente, mi ritrovai nel posto giusto al momento opportuno.

Se amai il mio sposo? Fui due donne, in una. Fui compagna e complice. Fui il peccato e la sua cura. Fui moglie, finché me ne venne concesso il modo, ma ebbi la pretesa di disegnarmi anche altro. Fui, principalmente, me stessa. E – riflettendo, mi rendo conto che qualunque azione, qualunque trama o anche più bieco progetto mi sarebbe stato perdonato, ma non questo. Giuseppina Bonaparte ebbe l’immenso torto di essere… una donna. Una donna determinata, forte, solida, dotata di una mente veloce, arguta e affamata. Famelica di guadagnarsi giorni, ogni giorno migliori.

Non mi sono mai accontentata. Ho tratto piacere. Ne ho dato, ne ho ricevuto… tirate voi le somme. Estraeteli voi i numeri. Poi giocateli, a nome mio e vincete, perché questo è l’unico modo che io conosca per vivere. Rischiando, fino in fondo.

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