A.A.A. Amore svicola tra le quinte di Sanremo…

A.A.A. Amore svicola tra le quinte di Sanremo…

Amore vuol dir gelosia, ma Amore, alle volte, significa anche… Sanremo.

Già, la prima a salire sul podio del Festival è una melanconica beguine: Grazie dei Fior, eseguita da Nilla Pizzi, interprete, per l’occasione, di dolorosi trascorsi, riportati alla luce da un mazzo di rose (rosse).

Carico di tormento, che ritroviamo ancora nel brano, datato 1953, Viale d’autunno. Claudio Villa, due anni dopo, augurerà Buongiorno tristezza, conquistando la vittoria, in compagnia di Tullio Pane. Per amori che suscitano rimpianti, altri lasciano l’amaro in bocca, causa, probabilmente, di ripensamenti tardivi. Come capita, ad esempio, a Nunzio Gallo, con Corde della mia chitarra (1957). E se l’anno successivo Modugno risveglia sul palco dell’Ariston la dimensione del ‘sogno’, a far subentrare lo scandalo ci pensa Jula de Palma, nel ’59, con Tua. Scatta la censura e “tua, sulla bocca tua…” viene sostituito con un più opportuno “tua, ogni istante tua…“. Primo brano sexy, questo, nella storia del Festival.

Siamo nel 1963, quando Tony Renis, insieme ad Emilio Pericoli, si guadagna il primo posto con Uno per tutte, storia di un adorabile mascalzone. Bandiera delle ragazze dell’epoca, nel ’64, Gigliola Cinquetti, canta Non ho l’età.

Segue… Bobby (Solo), armato di mascara sugli occhi e, poi, Mina, che con E se domani non vince, ma scala le classifiche.

Amore… e protesta. Siamo negli anni ’70 e ci insegnano, Adriano e la sua bella Claudia, che Chi non lavora non fa l’amore. Coppie in fuga: come quella formata dai neo sedicenni Nada e Rosalino (Cellamare; poi Ron), con Pa’ diglielo a ma’.

Ornella Vanoni, dal canto suo, sdogana letteralmente il peccato, sulle note di Eternità. Quel “dopo aver amato te” diventa un inno all’emancipazione. Agli uomini si perdona di più, resoconto di una società ancora disciplinata al maschile. Ai tradimenti, alle confessioni, ai pentimenti segue, immancabilmente, il perdono.

Nel 1972, la censura adopera nuovamente le sue forbici, per epurare i versi intonati da Nicola Di Bari. “Giacesti bambina, ti alzasti già donna“, cantava, allora, il nostro, ne I giorni dell’arcobaleno. Gli Innamorati di Mino Reitano avrebbero voluto gettare a terra “le tue calze bianche, la tua maglietta e i tuoi jeans“. Così non sarà.

Si arriva, quindi, al 1976, più trasgressivo che mai. 17 testi su 30 evincono riferimenti erotici. Non lo faccio più si disegna come cronaca del primo spogliarello. I Decibel raccontano, con Contessa, di una donna che cambia “amanti, come fossero bignè“. C’è, poi (1981), chi ‘si basta da sola’. Caffè nero bollente di Fiorella Mannoia non lascia dubbi, al riguardo. Nell’84, sono gli Stadio a chiedersi “a far l’amore dove si va?”. Due anni a seguire, Renzo Arbore stuzzica il pubblico con il suo Clarinetto, alle prese con la chitarrina. Patsy Kensit, ospite all’Evento, perde una spallina nel bel mezzo dell’esibizione. Ed è delirio.

Nel ’90, l’amore allarga i suoi confini. Rimane super classico con Minghi e Mietta, che duettano in Trottolino amoroso. Si rivolge, innovativo, alle Sorelle d’Italia – quante si vendono per mestiere – grazie alla voce di Dario Gay. Gatto Panceri (’92) sfida le convezioni e i pregiudizi con L’amore va oltre, affrontando il tema della disabilità e c’è chi parlerà, pure, di “contatto a rischio, su nella stazione” (Schola Cantorum, 1993).

Alla soglia dei 2000, il libero pensiero sfiora l’omosessualità. In Sulla porta (1996), Federico Salvatore vorrebbe dire: “sono diverso mamma, un omosessuale“, ma si deve accontentare di un più modesto: “sono diverso mamma e questo fa male”.

Spingiti come il vento tra i rami degli alberi, nel fogliame odoroso che si è mosso per te“. Il nuovo millennio si apre sulle note eseguite, ancora in questa occasione, da Mietta. Titolo del brano: Fare l’amore. Scalpore fa anche, nel 2009, Iva Zanicchi. Ti voglio senza amore, urla al microfono. Donna, non più ragazzina, rivendica esplicitamente un desiderio ardente. Polemiche, subito messe a tacere.

Max Gazzè, del resto, canta Il solito sesso, come a ricordarci che, oramai, per quel che attiene l’argomento, abbiamo sviscerato il possibile e, anzi, quasi quasi, un po’, ci ha persino annoiati. Il resto, si sa è in parte storia. In parte, tutto ancora da venire…

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