Merope’s Tales (capitolo 2)
Dunque, sono a tutti gli effetti una Venere della domenica. Un bel passo in avanti, direi. Il primo passo, verso una strada tutta nuova. Percorso, che si condensa in un… incontro tra due ragazze senza trucco.
Sì sì, potrei sintetizzarla così, questa seconda volta con Grace. Già, Grace… Grace dalla ‘faccia pulita’, proprio come la mia. Che sia un caso? Grace, che non si nasconde. Grace… e la mongonfiera.
Mi racconta che, a 4 anni, è scappata, un giorno. Fuggita dalle carezze dei genitori, per ‘volteggiare’ nell’aria, a bordo di un pallone che la conducesse su e su… ed è proprio tra i Ballon che la ritrovo, come in un Circo, circondata di colori e di Mandala. Sprazzi, che si sposano con un ambiente che trasuda, ugualmente, di cultura. C’è l’incenso, con i suoi effluvi esoterici e c’è tanta arte. E poi la stanza dei tesori… Racchiude abiti, scarpe, piume… cosa non darebbe, qualsiasi donna, per potervi accedere.
Mi apre al suo mondo, Grace ed io mi sento ‘unta’, privilegiata, per questo arruolamento che mi viene offerto.
Sarah e Morice… Sarah e i suoi ‘bacetti con le ciglia’. Non comprendete? Non potere, certo, ma non è importante. O meglio, lo è per noi… non c’è necessità che il mondo penetri anche qui.
Grace, ma prima ancora Emma, vale a dire la donna che creò la Star.
Nel suo documentario racconta che, da piccola, invidiava ‘le chiome boccolute’ delle amichette. Ecco, mi rendo subito conto che non è tanto questo l’importante, quanto, piuttosto, il fatto che la privazione – se così vogliamo definirla – abbia alimentato l’ingegno. E’ bastato un fazzoletto, perché l’anatroccolo diventasse cigno. Stoffa, che ha assunto l’aspetto di piume di struzzo.
Rifletto: fin qui, si evince uno spirito autentico, un’anima gioiosa, vivace. Una mente curiosa, presa, attenta, dicotomica.
Una, che ha inginocchiato al proprio servizio l’arte del desabillé. Una Salomè, propizia a svelarsi a poco a poco, uno strato via l’altro…
“Grace è… come dire… la versione deluxe di Emma“. Scherza, ma intanto si manifesta. Un nome, giunto da un sogno, dice. E non aggiungo di più.
“Stavo cercando una possibilità espressiva. Stavo facendo alcune ricerche sul varietà e incappai nel Burlesque. Così, decisi di abbracciarla, questa forma artistica, traduzione dell’apertura – rara – a vedere più abilità messe assieme“.
Eccola presto detta, in sintesi, l’iniziazione.
Esordio, in un universo a metà tra la danza e il teatro. Luogo d’eccellenza, in cui interpretare un personaggio e lavorare sulla gestualità.
“…la possibilità, anche, di poter essere costumista di me stessa, regista di me stessa, coreografa di me stessa. Io nasco come attrice… però, ci deve essere una scrittura per te e poi tanti filtri, prima di arrivare alla messa in scena. Vedevo tanti ostacoli nel mezzo. Ho sfiorato tanti lavori molto importanti che poi, invece… Volevo trovare qualcosa in cui potessi sentirmi totalmente indipendente“.
“Ho sempre amato le atmosfere del passato, l’affabulazione dell’allure rétro“, prosegue. “…anche il tipo di femminilità che mi ha sempre affascinato non aveva nulla a che fare con la femminilità che mi si presentava nel periodo che abitavo. E, quindi, ho sempre cercato una risposta nel passato. Ho sempre amato le grandi dive del passato… donne che, appunto, hanno dimostrato di essere le disegnatrici del loro personaggio e del proprio stile“.
Emma e Grace, come due facce della stessa medaglia. “Si nutrono a vicenda“, specifica. “Grace nasce grazie all’esperienza maturata di Emma. Le è devota“.
Allora penso, mettiamole allo specchio, queste due, una di fronte all’altra. Le propongo un gioco, un’intervista doppia.
D’istinto, chiedo, colore preferito: “Grace, il viola. Emma il rosa“. Stesso segno zodiacale, per entrambe. Acqua, come il cancro, che si riversa sulla concretezza di un ascendente capricorno, lungimirante e testardo. Sensibili, permalose. Vizio capitale? …La lussuria. E se l’una invidia all’altra la spinta verso il bello; di converso, è il non prendersi troppo sul serio che riequilibra le parti. Sognano all’unisono, le due.
Un aforisma attribuito ad Oscar Wilde suggerisce: “Attenzione a quello che desideri, perché potresti ottenerlo!“. Allora mi avventuro. Esiste una ricetta della felicità? “Sicuramente conoscersi. La felicità è avere la curiosità e non farsi frenare dalla paura di andare a fondo, di scavare dentro se stessi“. Il demone che ci abita è il carburante che mette in moto il talento. Parla Emma e, fin tanto che lo fa, mi invita a ragionare. L’elemento tempo non esiste. Bisognerebbe imparare a restare ancorati al presente. Lei lo definisce un accento di eternità. Rifugio dalle aspettative, spesso deludenti; salvaguardia da un passato che, a tratti, può risultare vincolante. “…è un lavoro duro perché vuol dire sempre stare nell’osservazione“. Però, ti eleva dal soffocare. In fuga… dagli automatismi. “…sono sempre io che, comunque, in un certo qual modo, posso indossare, a seconda del momento, la maschera che più mi si confà“.
Bella che è. La osservo, mentre parla. Mentre generosamente si racconta e mi sovviene alla memoria la prima volta in cui l’ho incontrata. Nel momento esatto in cui ha iniziato a muoversi, mi è parso di vederla trasfigurare. Catapultata altrove. In un clima arginato dal ricordo. Una dimensione parallela, in cui Lei e solo lei si rendeva riconoscibile. Estranea al terreno che l’attorniava. Lei era su quel suo pallone variopinto che la librava e la conduceva chissà dove, tra voli onirici e paillette… Uno mondo Felliniano, immaginifico, poetico, ispirato.
“L’ho conosciuto il giorno della mia prima Comunione”, mi rivela ed è su di Lui che ho costruito la mia tesi di laurea. Un Fellini nascosto. Itinerario impervio, rispetto ad una sceneggiatura mai concretizzata. Frasi, abbandonate su carta e che in pochi conoscono.
Che, poi, ripensandoci, l’artificio è paragonabile ad un mazzo di chiavi. Si aprono serrature, per suo mezzo, altrimenti invalicabili.
Grace calza così bene addosso ad Emma. Essere Grace: “L’ho sempre vista come una forma di recitazione, anche Grace…. Non la vedo proprio una cosa distante dall’essere attrice. Un elemento bello che ho scoperto nel Burlesque è il fatto di togliere degli indumenti, degli accessori e creare poi un immaginario con questi accessori e con questi costumi“. Sfilar via. Liberarsi degli orpelli. Comincio a pensare che sia qui il sunto di questo secondo incontro. Nella ricerca che riguarda noi stessi dovremmo imparare ad eliminare tutto ciò che è di più. “E’ come dire: vado all’essenza di me!“. E qui, inaspettatamente, mi parla di Matelda. Matelda… che canta e balla e si appresta agli occhi del Divin Poeta, appena prima che egli incontri la sua Beatrice. Matelda, dalla bellezza assoluta, nelle sembianze, nei gesti, degna interprete di una felicità ancora innocente. Matelda, che non ha peccato e che battezza Dante, con l’acqua della verità.
“Il personaggio che noi andiamo a creare è destinazione, ma soprattutto il viaggio per arrivare a quella destinazione“. Meta, che si traduce in consapevolezza del proprio corpo. Che rivolge le attenzioni a cullare il Tempio che finisce per ospitare la nostra anima, strumento per rimanere salde nell’attuale. “E’ il corpo che ci consente questo viaggio straordinario“. Prima ancora, è respirare. Spegnere il flusso dei pensieri. Il corpo – spiega – è il nostro Athanor per effettuare il viaggio più sensazionale. Un Athanor, forno segreto dei filosofi. E’ lo spirito umano, quello in cui avvengono le combustioni.
Parla, Grace e incanta, al punto tale che, ad un certo punto, non ne sento neppure più la voce. Nel mentre, le sto rapinando le movenze, graziose, leggiadre. Sto indagando questo spazio in cui, adesso, siamo buffamente capitate e che assomiglia tanto ad una bolla. E’ un tempo che fa bene, che regala emozioni sane; che non capita spesso.
“Con il corpo ci ho fatto pace, nel tempo. Sarà che mi voglio più bene…” Riflette. Si analizza. Si assolve… Allora le visualizzo, tutte, donne. Femmine in lotta, quotidianamente, con quel che lo specchio riflette. Nessuno ci insegna l’amore verso noi stessi. E’ un esercizio che si apprende. “La mia anima non deve sopravvivere, è eterna!“. Focalizziamoci, allora, sulla materia. Collo, mani, braccia, labbra… e tutto quel che abbisogna ad arredarla. L’arte scenica, la recitazione, l’utilizzo dello spazio. L’elasticità mentale che aiuta, nel sintetizzare, in pochissimi minuti, tutto quel che si ha da comunicare. E’ un tempo breve. Quindi, “…quei minuti devono essere precisi. Non ti puoi permettere sbavature… Devi dare un messaggio molto chiaro e quindi sei costretto a ‘parlare’ con un linguaggio pulito“. Less is more, del resto, no? Questo lavoro “Mi ha arricchito molto come essere umano“.
“Penso che il teatro, la danza, debbano essere lavori di grande generosità… La vanità a me non piace!” Ma se dovessimo fare un esercizio di vanità, la tento: Tu sei diversa da tutte… perché? “Perché mi pongo molte domande, perché sono molto curiosa, perché mi chiedo tanti perché, perché sono molto sensibile e poi sono molto generosa; perché io sono profondamente convinta che noi siamo quello che doniamo“. D’Annunzio, mi suggerisce, era solito dire: Io ho quel che ho donato. “Io però amo dire: Io sono quel che ho donato“.
Non parlatele di spogliarello, per carità! Non è questo il suo mestiere. “Teasing è questo: creare un incantesimo. In inglese vuol dire stuzzicare, ammiccare, provocare… se vogliamo, è un’arte della seduzione. Lavorare più nell’indefinito che nel mostrare. Teasing, secondo me, è attesa. E’ creare questo gioco e, a seconda del pubblico, ovviamente, questo gioco varia“. E, di fronte al suo pubblico, Lei insegue, ogni volta, rituali antichi. Storie, di cui ci si innamora. Quella, sempiterna, della regina d’Egitto. Cleopatra è ancora lì che l’attende sull’uscio, desiderosa di fare sfoggio di sé. La Salomè di Oscar Wilde. C’è Blanche di Un tram che si chiama desiderio, copione prelevato alle pagine di Tennessee Williams. “…fare, poi, uno spettacolo di Burlesque è più il prima e il dopo, che lo spettacolo in sé. C’è tutta una preparazione che è molto elaborata: la vestizione… quindi, ci metti tanto tempo nella preparazione e tanto tempo a rifare la valigia“.
Ad assistere, donne, per lo più. “Vorrei citare una frase bellissima di Dirty Martini, che è un’icona del Burlesque, del New Burlesque Americano: ‘Il Burlesque è uno spettacolo fatto da una donna, per la donna e, in effetti, le vere appassionate sono proprio le donne“. Niente di più vero. “…celebrare noi stesse, per poi far divertire chi ci guarda e ispirare altre donne, che sono quelle più facilmente affascinate da questo incantesimo“. Celebrazione… spontanea, che si applica attraverso lo studio preventivo del personaggio, della musica, del costume. Sei come il sabato del villaggio? La provoco. “Sono come il sabato del villaggio. In realtà sono una Jazzista io, inside, eh!” Sta al gioco, Grace, regina dell’improvvisazione. Il gioco lo crei tu che sei sul palco. E’ Lei che, stavolta, provoca me…
Parliamo ancora, mi racconta tante cose. Troppe, per riferirle tutte qui. Tutte ora… Comprendo, per sua stessa bocca, che non c’è nulla di naturale nel Burlesque e che si tratta di un mestiere che chiede tempo. Mi rendo sempre più conto di quanto sia lungo il cammino, di quanto ci sia ancora da scavare per imparare, se non altro, i rudimenti di qualcosa di estremamente complesso. Attenzione, non complicato…
Ci sarà tempo, più in là.
Potrei anticiparvi, ad esempio, che …dietro Elvis si nasconde il Burlesque, ma è il momento di accomiatarci.
Arriviamo ai saluti e, sulla lunga scia dell’accoglienza, ancora una volta, Lei, sfodera il suo talento più affinato. Abbraccia, con una manciata di parole, chi la ascolta e, intanto se la ride, sorniona.
“Welcome. Everybody is welcome to Burlesque!“
LEGGI ANCHE: Merope’s Tales (capitolo 1)
LEGGI ANCHE: Burlesque: quell’arte maliziosa che insegna, anche, ad amarsi…