Merope’s Tales (capitolo 3)
Caffè? Sì, grazie!… ma io lo prendo con la Moka! Come a dire: voltatela, quella vostra allegra testolina, Signorine e Signore e… voltatela indietro!
Correte ad intrufolarvi in un passato, garanzia di quei valori che, al giorno d’oggi, paiono essere… latitanti. Non sapete ancora cosa desiderate fare ‘da grandi’? Vi state domandando: “Domani, cosa ne sarà di me?” Beh, allora non indugiate oltre. Se la voglia è quella di esprimere il talento o, magari, anche solo l’intuizione di un talento, datevi da fare.
E’ ora di intraprendere una strada… ricoperta di strass. Dall’altra parte della porta vi attendono colori saturi e una tempesta di emozioni. Quelle, che potreste regalare al vostro pubblico; quelle che, di sicuro, riceverete… Siete donne, no? Dunque, svegliatevi!!!
Svestitevi; abbandonatelo il torpore del quotidiano… scegliete il Burlesque!
Scienza, Signore, non fantascienza. Qui, l’illusione è tutta vera… Si vende carne. Carne fresca! Oddio… in effetti… la facciamo solo annusare… Ops! Lasciamo che il presentimento, la fantasia, la cupidigia… lavorino al nostro servizio. Siamo megere? Fattucchiere? Siamo streghe! Ma nooo!!!!
Siamo gambe, che si agitano allegramente in aria; braccia, che si aprono accoglienti. Siamo sorriso, siamo lustrini, siamo un grido che sale da dentro e sfocia in una magia!
Sogno… o son desta? Merope Biscotto prosegue il suo viaggio, immersa in atmosfere che non fanno che condurla ‘altrove’. Questa è una favola alla Lewis Carroll ed Io sono Alice. Mi introduco in posti strani, ombrosi, sconosciuti… Qui c’è il Bianconiglio; lì, mi attende il Cappellaio matto… Paura? Niente affatto… è tutto talmente sorprendente…
Improvvisazione. Swing. Musica!
Già, ma… vogliamo parlare di tecnica? Non crediate che, dietro, non ci sia studio.
Tanto per cominciare, non c’è alcunché di naturale nei movimenti. Provate a spogliarvi voi, con la destrezza di chi, con nonchalance, riesce a sfilar via un pezzo dopo l’altro. Qui si tratta di interpretare veri e propri codici per comunicare. Assecondare le energie. Mettere Marte al servizio dell’avvenente Venere.
Sapete cosa suggeriva Zeami? Questa sorta di monaco laico giapponese, che gettò le basi della struttura ed estetica del Nō, asseriva che nell’opera d’arte devono convivere la Grazie e la Forza.
Una grazia e una forza che, probabilmente, hanno assunto facce diverse negli anni, ma che poggiano comunque sul concetto di ‘cura di sé’.
Uh, quanto la faccio difficile! Ma qui, che ci crediate o meno, siamo distanti dalla Comfort zone. Qui non si fanno sconti. Parla la prossemica e ci infariniamo di equilibrio. Lo stesso, che ci serve per stare ritte su tacchi vertiginosi. Per indossarli, disinvolte. Per modificare una figura, la nostra figura, in modo tale che ne risulti nobilitata. Accendiamo… fiammelle e, così facendo, ci spogliamo dagli stereotipi. Ci nutriamo di incontri, ci lasciamo sorprendere e guadagniamo, nel tempo, Stellette non alla portata di tutti. Riconoscimenti, che ci vengono attribuiti per la capacità – grande dote – di escogitare soluzioni inaspettate.
Così è il palco. Un palco osservato con sguardi e prospettive diverse. Sapete cos’ è Dr. Sketchy?
Chissà perché, la prima volta che l’ho sentito nominare ho immaginato un uomo in trench, con il volto coperto da un cappello. Beige il primo, nero il secondo, come gli occhiali, scuri, infilati ben stretti, a mistificare un che di indagatore. Fantomatico individuo, che tanto assomigliava, nella mia mente, un po’ perplessa e leggermente inquieta, ad un guardone!
Ridete, fate bene e, in effetti… niente di più lontano. Qui l’arte si sposa… con l’arte. Si disegna, pennelli alla mano, nel mentre di un’esibizione. Si ritrae, si ruba con gli occhi l’abilità delle performer, durante le varie sessioni. Evento nell’evento, come una Matrioska. Avangard? Maraviglia! Disincanto.
Allora, andiamo ad indagarlo più da vicino, questo mondo, ignoto e fantastico. Conosciamone i personaggi, le storie…
Lydia Thompson fu, ad esempio, colei che ebbe il talento di portare sui palcoscenici di Londra, prima, poi su quelli Americani, l’arte del Burlesque. Nel 1868, suscitando enorme clamore e guadagnandosi altrettanta notorietà, si mise in viaggio, destinazione Stati Uniti, alla conquista, per mezzo delle sue affinate arti, del Nuovo Mondo. Al suo seguito, una compagnia, interamente declinata al femminile.
“Non tutto, ma qualcosa lo devi mostrare“, sostiene chi ne sa. Eh già, perché sulle vestigia delle vecchie rappresentazioni nasceva, agli albori dello scorso secolo, la parodia. Attimi, trafugati ai sacri e intoccabili canoni dell’opera teatrale. E, nelle pantomime, rientravano le esibizioni di donne, alle prese con la toletta quotidiana. L’esperienza del desabillé si portava sul palco e si traduceva, attraverso gesti quotidiani, in cui, man mano, si sfilava via un… pezzo di sé. Veli, gioielli, niente di più, ma tant’è.
La trovata riscosse talmente successo, da incuriosire e sedurre, nell’immediato, persino il pubblico d’Oltreoceano. Così, questi momenti d’intrattenimento finirono per venire inclusi nel genere del Vadeville, spettacoli in più atti, ricavati, per buona parte, dall’arte circense.
D’altronde, è armati di un pizzico di nostalgia che oggi guardiamo al passato, per concederci una rilettura ironica, curiosa, compiaciuta, distaccata dell’avanspettacolo. L’epoca del Jazz e del Charleston ci ha insegnato a rischiare, a sperimentare e dunque, in tempi più attuali, appresa la lezione e forse anche dimenticata, ci apprestiamo a rinverdirla.
Ci immergiamo nella Ballon Dance – avete presente una marea di palloncini addosso, a ricoprirvi, per poi scoppiarli, uno ad uno, anche nei posti (tosse)… ?!
Impariamo a scivolare come serpenti, fluide, alla pari di un liquido. Esseri mutanti, che si trasformano in acqua e poi indossiamo i panni di Salomè, per giocare con un florilegio di veli che perdiamo, man mano, come petali. Siete curiosi? Si chiama Fan Dance! Lasciamo cadere, suadenti, pelle che chiama altra pelle e ancora e ancora…
Che dire dei ventagli? Immensi, così scenografici. Così articolati da manipolare…
Se questa non è arte, non saprei davvero cosa…
Allora, diciamo basta alle convenzioni; dichiariamo guerra all’iconografia femminile socialmente predeterminata. Costruiamolo, il personaggio. Di più, indossiamolo, attraverso la scelta di un nome, di un costume, di una coreografia che ci rispecchi. Suonate il pianoforte? Introducetelo nelle vostre performance. Preferite l’ukulele? Che male c’è? Avete fame di raccontare vicende politiche, emozionali, novelle Lady Godiva…? E sia. C’è chi, come le Puppini Sisters, si esibisce in gruppo, cantando, sulla falsariga di una seduzione, permeata delle sembianze di Olivia, Bettie Boop, Topolina… C’è persino chi fa streaptease su un’auto in corsa!
L’importante è… stabilire il contatto. Accaparrarsi il consenso… come fece, a suo tempo, proprio Lydia Thompson. E torniamo a Lei. Alla donna, che ebbe l’abilità di eseguire una trasfigurazione di stile, genere, contenuti, rispetto a quanto si era visto fino ad allora. Lo spettacolo si vestiva dei panni di divertissement per adulti, imperniato su scene comiche a sfondo erotico o colte a piene mani dall’attualità. Balli esotici, siparietti improvvisati, in cui imperversavano i doppi sensi, numeri di equilibristi e giocolieri, canti e tanto altro. Lydia e la sua troupe, The British Blondes, in quel lontano 1860, facevano di tutto. Suscitavano, più che altro, scalpore. Infervoravano gli entusiasmi, grazie anche ai siparietti derivati dal Minstrel Show. Tre atti, diversamente strutturati, in cui si alternavano danza, sketch di varietà e infine Musical.
I personaggi? Ricorrenti erano, dapprima, lo schiavo e il dandy. Poi comparve la mammy, l’old durky – il vecchio zio – la ragazza mulatta, il soldato di colore… Il tutto, articolato da jubilees – i canti spirituals – e Stump speech, monologhi, articolati su non sense e giochi di parole.
Ah, Lydia, Lydia… tu fosti solo l’antesignana di un fenomeno, destinato ad esplodere, appena più in là. Il periodo aureo si protrasse, fino agli albori della Prima Guerra.
Catturarono sempre più spazio le esibizioni di nudi e, nel giro di qualche anno, divennero celebri i nomi di decine di favolose artiste, che sapevano spogliarsi con sensualità ed ironia, in dosi – fate attenzione! – ben calibrate: Dixie Evans, Gipsy Rose Lee, Tempest Storm, Blaze Starr, Ann Corio e tante altre.
Curioso, Bettie Page, probabilmente la più celebre tra le Pin Up e icona del fetish style, viene spesso associata al Burlesque. Eppure, non si è mai esibita…
Di loro, vorrei parlarvi più in là. Invece, mi piace intrattenervi ancora un po’ con le vicende, di cui sopra…
Svezzata Brodway, con il resto dell’America fu ‘un gioco da ragazzi’. Chicago, New Orleans, Saint Louis, Cincinnati… ci si trasferiva, di volta in volta… pronti a diffondere il ‘morbo’ ovunque. Incalcolabile scandalo suscitò, ad esempio, The Black Crook, ricordato per l’esibizione di ballerine in succinte calzamaglie; ma fu soprattutto Ixion, la messa in scena che, più di ogni altra, seppe far parlare di sé. Lo spettacolo più chiacchierato e, inutile dirlo, tra tutti, il più visto.
Era chiaro – a questo punto – quale fosse… l’ingrediente segreto. Per una ricetta di successo occorrevano ‘donnine’ e bisognava, a tutti i costi, aumentarne le dosi.
Trame esili, dunque, e numeri comici, solo a corollario di qualcosa di ben più succulento. Questa era la convinzione, alimentata, peraltro, anche dalla commistione con la danza del ventre. Colpa/merito di Little Egypt, ballerina armena – a dispetto del nome d’arte – che infiammò la platea, con la sensualità dei suoi dimenamenti.
Tutto cambiò, nel 1917, ad opera dei Fratelli Minsky. Tra le performance previste e ideate dai Re del Burlesque – che tali erano considerati – c’era anche, in menù, quella di Mae Dix. Ebbene, una sera, inavvertitamente, l’abito della Signorina rimase impigliato chissà dove. Avete presente la pubblicità del Martini di qualche tempo fa, in cui una Charlize Therone ancora in erba perdeva il vestito, poco alla volta…? Deve esser successo qualcosa di simile. Solo che l’incidente… divenne routine.
Neppure le critiche dei benpensanti poterono affondare una nave che, oramai, aveva preso il largo, supportata – pure – dal contributo intellettuale di Star, alla pari di Mae West.
Poi, negli anni ’20, la percezione cambiò. Indietro non si poteva certo tornare. Così, la soluzione, si pensò fosse spingersi fino in fondo e buttarsi definitivamente nello striptease. Ma non si erano fatti i conti con… la Gendarmerie! La legge ebbe ragione di diversi teatri, anche grazie all’inflessibilità del sindaco La Guardia. Persino la parola: Burlesque, era diventata impronunciabile e quelle che, dapprima, erano considerate eroine, terminarono, nella maggior parte dei casi, la loro carriera, esibendosi nei Nightclub, piuttosto che riuscendo ad ottenere particine di secondo piano, in quel di Hollywood.
Rimasero le riviste. Maschili. Osé, per osannare, ancora in questo caso, ma solo su carta, quante avevano, loro malgrado, tracciato la storia. Ingegnose, alcune adoperarono l’inventiva per artificiare nuove e più stravaganti esibizioni. Dixie Evans, ad esempio, si proponeva nelle vesti di una Marilyn Monroe ancora più generosa dell’originale e, intanto, ballava con il pupazzo di Joe Di Maggio.
Negli anni ’60 si tentò un’ultima carta, quella dei Go-go Club: locali, su modello delle Folies Bergère. Ma la liberazione sessuale era in attesa dietro l’angolo. I tempi erano ormai maturi per la pornografia. Nel giro di pochi anni, i casti Burlesque vennero sostituiti con le ben più sfacciate imprese dei film a luci rosse.
L’arte del teasing per eccellenza era diventata un vecchio e malandato dinosauro… morto. Ma niente affatto sepolto.
Un’ultima info, che ve l’avevo promessa. Tura Satana. O meglio: Tura Luna Pascual Yamaguchi. L’Angelo, figlia di un attore di film muti giapponesi e di una contorsionista, si caratterizzò, per il passato straziante. Venne internata, da piccola, in un campo di concentramento insieme ai genitori. A nove anni, si racconta – venne stuprata da cinque uomini. A diciassette, fu costretta a sposarsi. Matrimonio combinato, che precipitò nel giro di soli nove mesi.
Ebbene, la venditrice di sigari e sigarette in alcuni teatri, ancora minorenne, si trasformò in una tra le più magnetiche ballerine di Burlesque. Talmente ‘speciale’, da sedurre niente di meno che Elvis Presley, il quale ne ereditò il celeberrimo movimento pelvico. Una relazione di pochi mesi, che naufragò, tuttavia, nel momento in cui l’artista la chiese in sposa.
A volte l’Amore si manifesta così. Agisce, proprio come un elastico. Per cui, la separazione, non bastò a cancellare la memoria di un sentimento che, per forza di cose, doveva essere penetrato dentro. Elvis, non dimentico, la cercò più e più volte. La voleva, la amava, ma non poteva averla realmente… Così, finì per inanellare Priscilla, forgiandola a poco a poco, secondo l’immagine impressa di questo suo immenso Amore. Un anello, a sugellare il tutto. A tenere viva, invece, l’iconografia di Lei, l’interpretazione, datata 1963 di una prostituta in Irma la dolce di Billy Wilder.
Poi, nel 1965, grazie all’incontro con il regista Russ Meyer, il ruolo di Varla nel suo Faster, Pussycat! Kill! Kill!, che le valse il simbolo di leggenda, idolatrata – e come avrebbe potuto essere, se non così – financo da Tarantino.
Chicche, che si inseguono, si accavallano… Abbiamo ancora tanto da condividere, ma prima vado a farmi quel famoso caffè, ricordate?
Nero, bollente, corposo… soprattutto… preparato con la moka!
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