Merope’s Tales (capitolo 7)
Ah Parigi, la Ville Lumière… romantica, bellissima, fatta per gente che sa sognare. Sapete perché venne soprannominata in questo modo? Per via dell’illuminazione stradale. La Capitale francese si distinse, tra le prime, a caratterizzare le proprie strade, attraverso una ridda di ‘giochi di colori’. Ogni notte, tuttora, si assiste allo spettacolo che offre di sé la Tour Eiffel. Sempre diverso, costantemente nuovo. Dagli Champs-Elysées all’Arco di Trionfo, sino ai vicoli di Saint German de Prés è un florilegio di luminarie. Ma – attenzione – il concetto di luce è, in realtà, di lunga più ampio.
E’ l’intelletto che parla, che rivendica la sua potenza, avendo destato le menti di scienziati, politici, artisti, filosofi. Città, per eccellenza, del pensiero ‘libero’, scevro da pregiudizi. Peggio ancora, dall’ignoranza; costellata dall’attività di personaggi come Voltaire, Montesquieu… che si riconoscevano in una filosofia, retta sulle fondamenta della scienza.
Lutezia, conforto e sede – poi – dei Parisii. Leggenda vuole che Paride, chiamato a giudicare la più bella tra le divinità dell’Olimpo, si trovasse a scegliere fra Atena, Afrodite ed Era. Ebbene, corrotto dalla possibilità di far innamorare l’affascinante Elena, moglie del re Menelao, Paride scelse – e come poteva essere altrimenti – la Dea dell’amore. Omero racconta che in questo modo ebbe l’avvio – è arcinoto – la guerra di Troia. Sconfitto ed esiliato, il principe fuggì, approdando sulle sponde della Senna ed è qui che diede origine alla sua stirpe.
Mi dilungo un tantino, lo so, ma solo per introdurvi tra le atmosfere dell’austera Notre Dame, o le lunghe passeggiate lungo il fiume, culla di un Paese, disegnato apposta per l’esproprio di anime sensibili.
E’ qui che vissero Lautrec, Pissarro, Van Gogh… un elenco infinito di nomi, tra pittori, scrittori, musicisti, attori; rapimento, per il cuore di numerosi poeti. Fonte inesauribile di ispirazione, per tutti. Locali come il Moulin Rouge o Le Folies Bergère ne fecero la fortuna, templi del divertimento e, immaginate, è proprio qui che, a suo tempo, prese il là una tra le carriere più luminose – e non lo dico a caso – tra le interpreti del Burlesque.
Se per caso l’avete sentita nominare, saprete di sicuro che fu proprio un viaggio nella Perla di Francia a rivoluzionarle l’esistenza. L’incontro con Maurice Chevalier fece il resto, tracciando per sempre, nella sua breve e tormentata esistenza, un prima e un dopo.
Il debutto nella rivista rappresentò solo l’esordio di qualcosa di cui perfino ‘La più bella ballerina d’America‘, Novella Venere, come in seguito ritenne di eleggerla niente meno che Florenz Ziegfield, era, al momento, inconsapevole.
Ignara, allora, della sua arte, che non saprei definirla diversamente. Quella, cioè, di danzare, armata degli immancabili e sovversivi – si, perché no, in fondo – ventagli. Se esiste un nome a cui associare la nascita della Fan Dance, è proprio il suo. Quello di Faith Bacon.
Una cittadina di Los Angeles, la Los Angeles degli anni ’10, ben inteso. Destinata a tratteggiare i connotati di un modo di muoversi, ballare, spogliarsi – meglio sarebbe dire sedurre – rimasti iconici. Indelebili, nonostante il trascorrere degli anni. Un patrimonio, fonte di ispirazione continua per quante, andando avanti, hanno deciso di percorrere il medesimo cammino.
Chi di voi non ha visto Malena? Cosa c’entra, adesso, Tornatore? Vi starete senz’altro chiedendo. Non cadete nella trappola, vi rispondo io. Smettete di domandare. Imparate, piuttosto, ad attraversare i fotogrammi. Scanditene il percorso, uno ad uno… Non siete ancora corsi a procurarvene una copia?
Se esiste una dimensione cinematograficamente atta a celebrare, in tutta la sua rotonda perfezione, la donna, è proprio questa.
Attraverso la risoluzione delle luci – ci risiamo – la definizione dei chiaro scuri, la sapienza delle inquadrature, il registro narrativo si fa, oltremodo, corpo. Ieratico, plastico, statuario, espressivo, senza abbisogno di un surplus di parole; elaborato tridimensionale, di per sé.
Totale, come totalmente avvolgente era Lei, Faith, immobile sotto lo sguardo dei riflettori che non soltanto la inquadravano, ma ne dipingevano il ritratto. Mettevano, di Lei, in risalto le fattezze, le curve, le pienezze, le sinuose e civettuole rotondità. Ne animavano, da sole, ogni accento, laddove muoversi, per via di leggi che strenuamente lo impedivano, era proibito. Dunque, occorreva un escamotage, una trovata, per aggirare ogni eventuale accusa di indecenza. Tentarono, quindi, Lei a Carroll, Earl Carroll, il suo produttore, ricorrendo, appunto, a ventagli giganti. Celata tra le piume, l’avvenente performer pensava di scamparla, ma non bastò. Il 9 luglio del 1930 venne arrestata. La polizia fece irruzione presso il New Amsterdam Theatre e rastrellò chiunque si fosse macchiato, a suo giudizio, del crimine di oscenità.
Il buon gusto era superato. Oltraggiate, senza riguardo, le norme vigenti. Ma Faith era così. Le bastava talmente poco… quei suoi fianchi, morbidi, le cosce… rappresentavano un’arma impropria. Un’induzione a delinquere! Sapeva riempire lo spazio. Provocava, mascherata dal movimento grazioso delle piume; dall’oscillare, sul palco, delle bolle; dal profumo che emanavano i fiori di cui si serviva nell’esibirsi, nutrimento per l’immaginario di chi, immobile, attonito, restava incantato a guardarla.
Un sortilegio, che lo stesso Carroll tento di giustificare. “Un arrangiamento di chiffon“, impalpabile ma studiato opinatamente, era ciò che la ricopriva. Ne velava le forme. Tuttavia – questo è certo – il turbamento era innegabile. Tant’è. Alla fine, sia Faith, sia Carroll, sia gli altri membri della troupe vennero scagionati. Tanto rumore per nulla…
Salva, libera e tra le mani sapienti di Ziegfield, ostinatamente deciso a fomentarne l’ascesa, era pronta a salpare, la nostra eroina; a veleggiare verso lidi che l’avrebbero resa famosa. Di più, immortale.
Sarebbe andato tutto bene, parecchio bene, se non fosse stato per quel terribile incidente…
Aveva fatto la sua prima apparizione in un film. Maxime era il nome del personaggio che interpretava in Prison Train. Prima ancora, nel 1933, aveva preso parte alla Fiera Mondiale, autoproclamandosi The Original Fan Dancer. Tra poco vi spiegherò il perché. Tutto lasciava sperare. Anzi, no. Tutto metteva per iscritto un futuro roseo, luminoso (che forse, mi accorgo, è il tratto distintivo di questo capitolo). Ma la sorte, il fato – se ci credete – sa, a volte, come riprendersi il suo.
Lo fa, spesso, all’improvviso e quando agisce, sorta di mannaia che si abbatte sullo scadenzare della vita, lascia privi di fiato.
Lo spettacolo si intitolava Temptations e si teneva presso il Lake Theatre di Chicago. Scusate, non ve l’ho detto: era il 1936. Ecco, la più bella di tutte rimase ferita. Si tagliò le cosce, cadendo attraverso un tamburo in vetro su cui posava nuda. Ogni ragazza, nel ruolo, simboleggiava una tentazione. Faith, per ironia, pensate, rappresentava la bellezza… Quando si alzarono le tende del sipario, scivolò, frantumando la scatola. Ciò nonostante, nel bel mezzo delle grida generali, si rialzò e riprese a ballare, mentre rivoli di sangue le scivolavano addosso. Le cicatrici, con il trascorrere dei giorni, non passarono. Neppure il dolore alle gambe. Né la cifra di 5000 dollari, spesa poi per l’acquisto di un diamante da dieci carati, servì a risarcirla.
Nel 1942 apparve in brevi registrazioni: Lady with the Fans e Dance of Shame, quasi una rimembranza di ciò era stata. Intanto, prima ancora, venne nuovamente arrestata.
Il 23 aprile del 1939 la sua ‘condotta disordinata‘ – così venne asserito – la trascinò dritta dritta dietro le sbarre. Ci volle una cauzione di 500 dollari, perché venisse rilasciata. Aveva, in tali circostanze, organizzato un espediente pubblicitario, in Park Avenue.
Solo una settimana dopo, alla Fiera Mondiale di New York, si sarebbe fatta notare per la sua Danza del cerbiatto. Addobbata di “ciuffi di chiffon” e foglie d’acero, portava a spasso – per l’appunto – l’animale, tenendolo al guinzaglio. La Stella, tuttavia, aveva imboccato la via del tramonto. Le cronache dell’epoca riportavano: “Faith Bacon sfila attraverso una danza di ventagli mangiata dalle tarme, che ha perso la sua forza molto tempo fa.”
Il carattere ‘difficile’ – erano sempre di più quanti la raccontavano in questo modo – non l’aveva di certo agevolata. Si perdeva, così, tra una causa e l’altra. Sovente, le perdeva. Così fu, ad esempio, nel 1948 quando, assunta per dirigere una compagnia di ballerine, dichiarò di non essere stata pagata. Le si doveva una somma esorbitante. Lo stipendio arretrato, a sua detta. Non solo. Affermò, nell’occasione, che il proprietario aveva cercato di terrorizzarla e aveva citato in giudizio l’intera organizzazione, convinta che sul palco su cui si esibiva a piedi nudi, con l’idea di sabotarla, fosse stata collocata una serie di invisibili chiodi. Perse. Ve lo avevo anticipato.
Verso la metà degli anni ’50, tentò di avviare una scuola di danza in Indiana, ma fallì, anche in questo frangente. Fu rinvenuta, priva di sensi dopo… beh, sì, dopo un’overdose di sonniferi.
Da qui, partono i racconti, frutto della fantasia, alcuni. Veritieri, altri… tutti, suggestionati dalla comune nota della sofferenza e del rammarico. Faith – fatto sta – non era più in grado di procurarsi un impiego. Non un lavoro duraturo; né, tanto meno, alla sua altezza.
Elaine Stuart, una ballerina sua collega, era in compagnia del marito quando la riconobbe, in un vicolo, mentre la coppia si apprestava ad uscire da un Teatro di Seattle. Lee Stuart, questo il nome di Lui, così riporta l’incontro: “Siamo usciti dal palco del Rivoli Theatre…, dopo lo spettacolo di mezzanotte. Da un lato, nel vicolo, nell’ombra, c’era quella che oggi chiameremmo una signora delle borse. L’abbiamo superata, quando mia moglie si è fermata e ha detto: “Mio Dio, Faith?”. Inutile dire che era Faith Bacon. Era sfortunata e aveva bisogno di un aiuto. Mia moglie le ha dato dei soldi e ha parlato con lei per qualche minuto, ma [Faith] sembrava avere fretta. [Lei] se ne andò, dopo aver promesso di tornare nel backstage il giorno successivo, per fargli visita. Non l’abbiamo mai più vista“.
L’immagine, che di questo vi ho parlato sino ad ora, di istantanee, è anch’essa esplicita. Esplicativa di quel che, a breve, sarebbe successo. Nel 1956, dalla Pennsylvania, Faith decise di fare ritorno a Chicago. Alloggiava presso l’Alan Hotel, al 2004 Lincoln Park West. Si gettò dalla finestra, finendo per atterrare sul tetto di un edificio adiacente. Un volo di due piani, voluto, cercato. Inseguito a tutti costi. Si narra che qualcuno fosse riuscito ad afferrarle la gonna ma che la donna, imperterrita e determinata, si fosse svincolata dalla presa. Morì quella stessa notte, ricoverata presso il Grant Hospital.
L’inventario dei suoi beni comprendeva vestiti, un anello di metallo bianco, un biglietto del treno per Erie, in Pennsylvania e 85 centesimi. Quel che rimaneva di una tra le maggiori interpreti della storia del Burlesque era tutto qui. Briciole, costellate, pure di un matrimonio, chiacchieratissimo anche quello, con Sanford Hunt Dickinson. Si vociferava fosse, in verità, una copertura per nascondere le inclinazioni lesbiche di Lei… Una, per di più, avvezza all’alcool, alle droghe…
“Ha voluto tornare sotto i riflettori. Avrebbe accettato qualsiasi lavoro nel mondo dello spettacolo“, ebbe modo di riferire, più in là, Ruth Bishop, sua coinquilina.
Alla ricerca, fino all’ultimo istante, della luce… Ciò che, probabilmente, mai e poi mai avrebbe accettato, al pari di una lotta Eva contro Eva, era il fatto che qualcun’altra avesse potuto accreditarsi l’invenzione della Fan Dance. Nell’ottobre del 1938, vi accenno, fece causa ad un’altra nota performer: Sally Rand. 375.000 dollari di danni e un’ingiunzione, che impedisse a quest’ultima di eseguire la danza del ventaglio. Ecco quanto pretendeva Faith.
D’altronde, non si arrendeva, nel sostenere di essere stata la prima. L’unica originale artefice di una danza, ripresa, copiata, rielaborata… da tutte, poi. In quanto alla sua rivale, Sally commentò in questo modo: “L’idea dei Fan – dei ventagli – è vecchia quanto Cleopatra… non può farmi causa per questo“. Sarcastica lapidaria, provocatrice, a sua volta, ma quel che la riguarda, nel dettaglio, avrò modo di riferirvelo la prossima puntata…
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