Diva Futura: quel porno… che non parla il linguaggio del porno

Diva Futura: quel porno… che non parla il linguaggio del porno

Così, accanto a titoli e Star altisonanti, la Mostra del Cinema di Venezia – l’81°, per esser precisi – ci riserva anche questo e cioè il racconto della prima agenzia italiana di intrattenimento a luci rosse, Diva Futura – ecco il titolo – a sua volta in corsa, tra i film italiani, per il Leone d’Oro.

Opera seconda dell’attrice e regista Giulia Louise Steigerwalt, dopo l’acclamato esordio: Settembre, datato 2022.

Ci riporta indietro, la nostra, rispolverando insieme la realtà creata, nel 1983, da Riccardo Schicchi. Un vero e proprio fenomeno sociale, tale da riuscire a condensare l’utopia hippie dell’amore libero in poche figure di riferimento, simulacri di un’ideologia, tutta votata al porno.

L’AGENZIA CHE AMAVA LE DONNE

Originario di Augusta (Siracusa) ma romano d’adozione, l’imprenditore dalle idee rivoluzionarie viene, per l’occasione, dalla segretaria d’agenzia, Debora Attanasio – nei cui panni abita, per la circostanza, Barbara Ronchi. Attraverso gli occhi della donna – qui è il punto – viene rigirata la prospettiva di un mondo ‘malato’, squilibrato o perverso facendoci comprendere che, seppur costellato da enormi contraddizioni, offre tutti i tratti di una ‘famiglia’. Sgangherata, magari, ma famiglia.

Risorgono, pertanto, davanti ai nostri occhi, i miti di quegli anni e se ne ripercorre, assieme, la loro parabola: da llona Staller a Moana Pozzi, ad Eva Henger pronte, allora, ad invadere le case degli Italiani, prima attraverso le tv private e le videocassette. Poi, addirittura, in veste di blasone figure, ospiti presso i salotti televisivi più accreditati. Alla regia del cambiamento – inutile sottolinearlo – la personalità iperbolica di Riccardo Schicchi – alias Pietro Castellitto – emblematico e suggestivo personaggio dall’anima inquieta.

Mi serviva entrare… – spiega la regista – per capovolgere il punto di vista, come è successo a Debora“. Per la prima volta – stando alla cineasta – un uomo ha posto l’accento sull’universo femminile – e qui la vera rivoluzione – volendolo semplicemente celebrarlo, senza offenderne la dignità. “La violenza non faceva parte della visione di Schicchi e del suo gruppo. C’era un’assenza totale di pudore, ma quando si pensa a questa la si associa a qualcosa di viscido e aggressivo. Lui si illudeva di fare arte, rompere tabù e rivoluzionare il costume“.

SCHICCHI: PAZZO E SOGNATORE

Credo – aggiunge chi ne intrepreta il ruolo – sia il racconto su un uomo che è riuscito a fare un mestiere che non esisteva e ha dovuto creare il mondo dove metterci quel mestiere. In questo senso, potrebbe esserci una catarsi al contrario, perché assistere alla storia di un uomo che è riuscito a rimanere fedele all’ideale e alla visione del bambino che era, è qualcosa di estremamente poetico“.

Un mondo, in sostanza, scanzonato e a tratti visionario, che tratta anche di come, smessi i panni di divinità, icone del piacere maschile, le donne simbolo create da Schicchi non potessero e non riuscissero ad essere altro, incastonate nella propria solitaria significazione da tutto quel che gli ruotava attorno e che le voleva lì, unicamente lì. Immagini patinate di un erotismo ancora, per certi versi, educato ma nulla – assolutamente – di più.

Commedia, che si fa dramma, nel momento in cui sogni, aspirazioni e desideri assumono le sembianze del quotidiano, assai più crudo e, con esso, finiscono per scontrarsi.

Prodotto da Groenlandia e Piperfilm con Rai Cinema e in collaborazione con Netflix, la pellicola arriverà in sala nel 2025.

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