Profondo, come l’indimenticabile Rosso tracciato da Argento
Ha messo paura, questo è certo. Ha fatto storia, in ambito cinematografico, attestandosi tra le pellicole più iconiche mai uscite nelle sale e ci ha insegnato, pure, quanto possa piacerci – e sedurci – il genere horror. Colpa/ merito del maestro Dario Argento, che il 7 marzo 1975 compose quello che, a tutti gli effetti, possiamo considerare come il suo capolavoro. Sapiente e riuscito mix – anche per chi non ama la tipologia – di terrore, mistero e musica, riferimento per quanti sarebbero poi venuti.
Adesso, il film spegne le sue 50 candeline. Mezzo secolo di storia e viene ricordato, tramite una nuova edizione esclusiva della colonna sonora e la proiezione, in occasione del Roma Film Music Festival, proprio lì dove furono registrate le musiche originali, con i brani eseguiti dal vivo. Appuntamento, in programma per il 6, il 7 e l’8 aprile.
Una trama, a reggere il girato, in fin dei conti piuttosto semplice. Si narra la storia di un pianista jazz inglese che, dopo aver assistito impotente all’omicidio della sua vicina di casa, decide di indagare. Durante le sue ricerche, tutte le persone con cui viene a contatto, però, restano misteriosamente uccise. Sarà solo grazie all’aiuto di una brillante giornalista, che riuscirà a districare la matassa. Banale, forse; eppure, dal sapore ‘diverso’…

Cominciamo con il dire che, inizialmente, avrebbe dovuto intitolarsi La tigre con i denti a sciabola, per rientrare nell’ambito della scia degli animali. Tuttavia, in fase di lavorazione prese forma questa seconda idea che, alfine, si rivelò assai più efficace. Rosso profondo che, poi, fece manovra invertita su se stesso. Un film, per i pochi che ancora forse non lo sanno, suggello di un amore, quello tra il cineasta e Daria Nicolodi, eletta – a tutti gli effetti – vera e propria musa, per il regista.
Per quanto riguarda la colonna sonora, dicevamo, rimasta emblematica, inizialmente era stata proposta ai Pink Floyd – almeno secondo il pensiero di alcuni. Altri dicono si facesse riferimento ai Deep Purple – che però rifiutarono, per via di precedenti impegni. Fu così che il gruppo italiano Goblin, guidato da Claudio Simonetti, sfoderò letteralmente fuori dal cappello un talento, capace di rimanere memorabile nelle menti di tutti gli spettatori.
Un’ulteriore chicca, a completare il tutto, l’incursione – breve, come si conviene – dello stesso Dario Argento nel film, sebbene non sia immediatamente riconoscibile. Le mani guantate di nero che compiono gli omicidi – difatti – sono proprio le sue, escamotage ideato da un artigiano che aveva tutti i presupposti, per disegnarsi come artista.
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