Sindrome di Calimero? Liberiamocene … con un sorriso
Trattasi di vittimismo cosmico e c’è poco da sviare. Quando la lamentela facile prende le sembianze di un vero e proprio cavallo di battaglia non c’è scampo. Certo, un momento di smarrimento ci sta ed è lecito, per chiunque, sentirsi sconfitto in determinate situazioni. Ma quando il canto si trasforma in nenia e la ritmica comincia a rimanere perennemente la stessa, allora qualcosa – diciamocelo – non va.
E invece sono numerosi gli individui che, sentendosi più sfortunati degli altri, continuano a ripetere a se stessi e al mondo quanto sia enorme l’accanimento con cui la vita li percuote. Un vortice, che li risucchia giorno dopo giorno e li rende prigionieri di quella che, per gli esperti, prende il nome di Sindrome di Calimero.
Vi rammentate ancora – di sicuro i più adulti non potranno non ricordare – il pulcino, testimonial di uno noto brand di detersivi, protagonista, tra molti altri del Carosello Italiano?
Ebbene, se sì, vi tornerà subito alla mente il suo grido di battaglia: “E’ un’ingiustizia però!“
Ed eccoci a noi. Il mood, più o meno, è identico. E i sintomi si esprimono attraverso un forte senso di disagio nei confronti della vita, di fronte alla quale ci si ritrova inadeguati e sconfitti. Da qui, ne deriva uno scarsissima autostima, come se il film fosse ormai inesorabilmente ‘scritto’.
Spesso, risposte di questo tipo desumono da traumi derivati dall’infanzia. Vessazioni, un’educazione sin troppo rigida… esperienze, insomma, che hanno lasciato il segno.
La sensazione tende a ripalesarsi – proprio come una sorta di elastico – nel momento in cui ci si scontra con un ostacolo. L’imprinting, di sconforto, apre il là ad ulteriori lamentele, alimentando l’impressione di impotenza in cui soggiorna.
E’ un po’ – volendo fare un paragone – come trovarsi immersi nelle sabbie mobili. Si rimane bloccati, inermi, consapevoli che qualsiasi movimento, anche minimo, potrebbe nuocerci. Cristallizzati dentro se stessi si diventa totalmente incapaci di reagire. E ci si consola/deprime – in una sorta di autodistruzione – guardando all’orticello del vicino. Sempre più verde, più florido, più colorato…
‘CAPITANO TUTTE E ME’
Come individuare, allora, i sintomi che identificano la patologia?
- la continua tendenza a paragonare la propria vita con quella altrui, sempre migliore
- l’idea di identificarsi in soggetti sfortunati
- la convinzione di non poter avere il controllo sulle situazioni
- il sentirsi vittime e nascondersi dietro frasi quali “Per me è diverso“
- lo scaricare le colpe sul passato, non facendo nulla per modificare il presente
Analizzarsi onestamente, privi di alibi, e mettere sul piatto come stanno realmente le cose, è l’unica mossa possibile per uscire da un‘impasse non solo scomoda, ma anche inibente. La sfiga, di per sé, non esiste. Esiste l’approccio con il quale si affronta l’esistenza. Il famoso discorso del bicchiere ‘mezzo pieno o mezzo vuoto’… C’è chi, nei problemi, vede solo un ennesimo peso, e chi ci legge un’opportunità.
Un antico detto recita che la vita ci sottopone solo alle prove che siamo in grado di sopportare. Già questo pensiero ci fornisce parecchio materiale su cui riflettere.
Le difficoltà vanno combattute coltivando la propria resilienza, la capacità – cioè – di imparare anche e soprattutto dagli eventi negativi. Costruirsi, secondo l’immagine che si è deciso, dipende solo ed esclusivamente da noi.
E, forse nella ridda delle banalità, gioca anche il famoso think positive. Testa alta e sorriso alla mano, speranzosi. Del resto, quando già si è a terra, non si può scivolare più giù. E poi smetterla di guardare altrove e puntare l’attenzione a noi stessi. Edificarsi, sulla base dei propri sogni, delle speranze, comprendendo che non sempre otteniamo ciò che vogliamo, per come lo desideriamo. Talvolta, i percorsi sono impervi e ci conducono dove neppure avevamo immaginato. Ma nulla ci vieta di pensare che queste nuove mete, non prese in considerazione, possano rivelarsi meno cuncupibili delle prime, se non addirittura migliori…
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