Buio, violento, seducente universo… benvenuti tra le stanze di Madame Claude
“Mettiamola così, sono convinta che, per dirsi realizzata, ogni donna debba saper padroneggiare due arti: la prima è la cucina; l’altro è il sesso. E, sapete, io non so cucinare“.
Del resto, quando si nasce senza il privilegio di sentirsi ‘qualcosa’ si è costretti a ricorrere al più antico degli stratagemmi. Bisogna reinventarsi. In fondo, non lo aveva già fatto Coco Cahnel? Perché non avrei dovuto, o potuto, farlo anch’io.
Fernande Grudet è morta, ben prima di quel dicembre 2015, a Nizza. Se ne andata insieme alle sue origini modeste. Mio padre teneva un carretto di panini di fronte alla stazione, ma ho fatto finta, presto, di dimenticarlo e, soprattutto, che lo dimenticassero gli altri. Quando, al suo posto, edificai, per il piacere di chi desiderasse avventurarsi nelle mie personali vicende, l’aristocratica creatura, scampata al lager nazista di Ravensbrück, nessuno ebbe a che dire. Molto più charmant, non trovate?
Ho lasciato che, spesso, negli anni, parlassero di me. Lo hanno fatto da viva, quando, nel 1977, hanno inteso raccontare la mia storia attraverso una pellicola. Il regista, Just Jaeckin, era lo stesso di Emmanuelle e di Histoired’O, la colonna sonora di Serge Gainsbourg. Ad indossare i miei panni, Françoise Fabian. La crème de la crème dell’erotismo. Cosa avrei potuto pretendere di più? Una consacrazione. Un osanna la mio operato da… prostituta.
Mi hanno definita la protettrice più famosa di Francia. Probabilmente lo ero, anche per come trattavo le ‘mie’ ragazze. Ero io, a ben pensarci, a lavorare per loro. Mi spendevo “a togliere ciò che di brutto e volgare potrebbe esserci nella professione“. Davo corpo – e denaro – alle loro aspirazioni e le allineavo, al tempo stesso, ad una nuova e più intraprendente scala sociale. Mi divertivo a velarle di quell’attitude finto-borghese, che tanto era gradita ai clienti. Le ho cesellate, in modo tale da accreditarle di quel tocco di glam, così blasonato agli occhi di chi pagava per possederle. 500 ancelle al mio servizio o io al loro… chissà.
Nel pieno degli anni ’60, camicetta indosso accompagnata da un filo di perle – proprio alla guisa di Madame – decisi di fare di quel che avevo tra le cosce la mia arma. E la adoperai con intelligenza e saggezza. Mi credettero quando, intervistata in tv, intesi spiegare che le ragazze, con me, imparavano l’etichetta, sorta di geishe del secolo moderno: come ci si veste, come si conversa… stabilivo chi dovessero frequentare e prefiguravo – per loro e anche per me stessa, certo, non lo nego – un cammino, cosparso di soldi, gioielli, auto di lusso.
Donavo ai miei illustri ed assidui visitatori “Escort, non prostitue“. E, la differenza, era tutta lì. Siete curiosi di conoscerne i nomi? Oh, volate alto allora, che le mezze misure mi hanno sempre annoiata. Potrei nominarvi lo Scià di Persia, Gianni Agnelli, Gheddafi, e che ne dite del presidente John Kennedy? Questo conservatelo per voi ma nel 1961, nei giorni dell’incontro con De Gaulle, a Parigi – evidentemente – deve essersi sentito un po’ solo, perché mi ordinò una sosia della moglie, Jackie, in versione, diciamo, più slacciata…
Buffo, li immaginate così potenti. Poi, a ben guardare, sono uomini tra gli uomini. Animali, con la carta in mano, l’argent, come si diceva un tempo, ma la differenza è solo quella. Per il resto, gli istinti, le perversioni, le pruderie rimangono le stesse di sempre. In pari grado, sovente, al grado di responsabilità, allo stress, ai complessi che si portano appresso.
Oh, non crediate, non andò sempre liscio. Mi arrestarono, pure, mi confiscarono i beni, ma erano troppi i segreti, dietro la mia porta. Ero depositaria di qualcosa che, tutt’ora, non avrebbe prezzo. Io rappresentavo, a tutti gli effetti, un prodotto aspirazionale. Impersonavo ciò che loro, maschi e femmine, non avevano il coraggio di diventare. Incarnavo il bello e il brutto dei loro animi e, questo, in parte, li alleviava dal peso di doversi rappresentare, costantemente immacolati.
Adesso che me ne sono andata, possono, finalmente, raccontarmi a loro piacimento (Madame Claude, regia di Sylvie Verheyde). Possono dirvi di me che ero avida, al punto tale da gettare le mie protette tra le braccia di gente vogliosa e malata, ricchi scatenati e violenti, che umiliavano la carne che capitava loro di fronte, non sapendola amare.
Calpesteranno la mia immagine – anni ed anni per costruirla – inventando che io ero d’accordo, che per me, quella, rappresentava la soluzione di punizione, per quante avessero trasgredito ai miei voleri. Prendevo, e pretendevo, il 30% dei loro guadagni. Ebbene? Le avevo cresciute, svezzate, le avevo rese perfette, sotto la mia ala. Ero più di una madre, per loro, senza esserlo. Questo non ha un costo? Esperienza, Signori, la mia, devoluta a loro beneficio. Quei soldi mi spettavano di diritto.
“Credere che una prostituta facesse volentieri un lavoro simile è ipocrita, quanto immaginare una domestica appassionarsi alle pulizie“. Vorranno convincervi così, ma credetemi, stiamo parlando di tutt’altro. Chi non lo ha vissuto non può comprenderlo ed è facile additarmi ora, che non sono in grado di contestare.
Le cose erano niente affatto meravigliose? Chi ha mai voluto farvi credere che lo fossero. Bisogna avere pelo sullo stomaco, per vedere ciò che ho visto io.
Il mestiere di Maitresse è costellato di squallore. Solo che, quel marcio, è necessario farlo brillare. Lo si fa per sopravvivere, nelle anticamere dei Motel o dietro le suite degli Hotel prestigiosi, cosa importa. Io ho imparato, nell’immanente, a rendere il vizio joli. L’ho ricoperto di lustrini, affinché non si percepisse il fetore dell’animo di chi usava ed abusava di noi… di me.
Mentivo, sapendo bene quanto ‘loro’ amassero cullarsi nelle illusioni e lo facevo, in modo spettacolare. Emancipavo le mie sgualdrinelle, in modo tale che il loro divertimento risultasse discreto, protetto. Mi sovviene, adesso, una scena del film che valse diversi Oscar a Stephen Frears: Le relazioni pericolose. In uno tra i momenti chiave, la Marchesa Isabelle de Merteuil – Glenn Close – rivendica la condizione femminile.
“Vincere o morire“, ribadisce. Non lo credete anche voi? La regola, in fin dei conti, è sempre stata questa. Ora, come allora, prendetene atto, nulla è cambiato.
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