Vivienne Westwood: straccivendola consacrata all’Houte Coture
Sono un’ariete e, come tale, la mia testa corre, prima ancora che prenda a farlo il mio corpo. L’istinto sopravviene alle intenzioni. Vivienne Isabel… come suona dolce il mio nome… eppure l’immagine che se ne ricava è ben diversa da quella che Io stessa ho voluto cesellare, a beneficio del mio pubblico.
Quell’8 aprile 1941, forse, nessuno lo avrebbe mai detto. Ma prefigurarsi di essere ‘qualcosa’ e qualcosa di importante, è tipico di Noi, segni di fuoco. E’ come un marchio. Un’etichetta che ci si incolla addosso e rimane lì, permeata di ogni nostra azione o pensiero. Sono nata nel Derbyshire. Swire, il cognome che mi porto addosso, ma scommetto che vi dice poco, magari niente. Se, invece, mi presentassi come Westwood, sono certa che il discorso sarebbe differente.
Mary Quant ha inventato la minigonna, dite? Beh, Io è tutta la vita che gioco con i mei ‘preziosi straccetti’. Avete presente il fenomeno punk? Non sarebbe mai esistito senza le mie mani; l’applicazione. Senza la testa. Già, alla fine si ritorna sempre allo stesso punto. Croce e delizia per chi, come me, è nato in aprile, sotto Stelle che ci vogliono sempre in piena corsa; perennemente un passo avanti. Pure a noi stessi.
Londra mi chiamava. Io ho riposto. Tutto il resto, se non lo sapete, potreste comunque immaginarlo. I confini della provincia stanno stretti, quando si smania per crescere. Più in là, finiscono per diventare tossici, persino quelli della propria Nazione. Chiamatela fame, se credete. Ben, allora diciamo pure che, per quel che mi riguarda, l’appetito non è mai mancato.
Derek. Mr Westwood, lo considero fondamentale negli accadimenti che hanno costellato la mia esistenza, per il semplice fatto che ha rappresentato l’effigie di quel che sono, o sono diventata. Fate voi. Gli ho rubato, in sintesi, l’essenza. Me la sono portata via, come pegno, quando ho incontrato qualcuno con cui condividerla. Un uomo, con il quale farne un progetto. Oh, assai più di un compagno d’avventura. Io e Malcom ci siamo resi inseparabili. Un po’ come stilare un patto con il Diavolo. Una volta firmato, non si scappa. Di chi sto parlando? Perdonate ma, ve l’ho detto, sono da Formula Uno. Non chiedetemi di ingranare la seconda, poi la terza… che, per me, rappresenta una sorta di crimine. Malcom McLaren: quel ragazzo sarebbe presto diventato il manager dei Sex Pistols. Devo aggiungere altro?
Beh, una cosa vorrei dirvela. Di Lui mi attirava, mi rapiva, mi profanava… la testa. L’intelligenza, se usata a dovere, è un’arma micidiale. Mai avrei spalancato le cosce per un ‘belloccio’ ma, quando mi si pone davanti un cervello ben strutturato – ve lo confesso, pure adesso che ho superato gli 80 – è tutta un’altra storia…
Impenitente, frivola, capricciosa… Let it Rock, ragazzi miei. Proprio come l’insegna dello storico negozio, al 430 di King’s Road. Il primo. L’ho aperto nel 1971. Poi, irrequieto come me, gli ho cambiato identità. La tendenza al renaming deve essere un po’ il mio cruccio, se ci penso. Too fast to live too young, poi Sex e, ancora, Seditionaires. infine, World’s End. Ahahah… state pensando che non ho pace, lo so. E avete pienamente ragione. Sull’orologio che spicca in vetrina, le lancette girano al contrario. Eh… questa sono Io, con un bagaglio di contraddizioni appresso ed una curiosità smisurata, verso tutto ciò che è nuovo.
In eterna protesta, più che altro nei confronti di me stessa. Rido, adesso, se penso che, l’estetica di un movimento ‘rivoluzionario’, è nata per via di questa mia irrisolta inquietudine. Del resto, quando dentro ci si sente ribollire, spiegatemelo voi, come si riesce a darsi pace. L’unica arma a disposizione è prendere tra le mani il proprio talento ed esprimerlo, buttando via schemi e schematismi, riponendo da parte timori e pregiudizi. Il resto, equivale a ‘scopare’. Prendere la carta in mano – stilizzare il figurino di un’idea che, presto, si farà carne, o stoffa, come preferite – ha il sapore di un orgasmo. Continuate a venire e, più provate piacere, più ne desiderate. Difficile da comprendere?
Dame: nel 2006, per questa mia mente ‘distorta’, mi hanno attribuito persino un’onorificenza. Pensare che, personalmente, non ho fatto altro che giocare con le passerelle. Mi hanno dato della provocatoria, mi hanno accusata, e invidiata, per il parlare, attraverso le mie creazioni, un linguaggio eccentrico. In realtà, specie, all’inizio, non ho fatto altro che tradurre il malessere di una generazione. Loro si ribellavano, Io pure. Solo che urlavo a modo mio. Lo facevo, attraverso l’incongruenza dei colori, l’irriverenza dei tagli, la sregolatezza delle stoffe.
Destrutturavo, rubavo dal tempo passato e traducevo in futuro, tutto ciò che l’anima mi suggeriva. Corsetto e foux-coul, per me, non hanno segreti. Alla faccia della parità tra uomo e donna. Sono femmina. Lo rivendico. Controcorrente? Bah, facciamola breve. Solo colta, a differenza di tanti parolai.
Ah… a proposito di parolai – parlo di quelli veri, i compositori – da Ringo Starr ai Clash, hanno interpretato i miei vestiti, assurgendoli a sottocultura per chi, patito per gomma e cuoio, li associava, nel suo fantasticare, alle band di culto.
Ricordo la volta, anzi le volte, in cui, per riuscire ad abbassare la claire della boutique, dovette intervenire la polizia. God Save the Queen, cantavano i ragazzi, creati a tavolino da Malcom? Bene, Io ho semplicemente fatto in modo che la protesta contro Sua Maestà Elisabetta finisse sulle T-shirt.
Le regole, quelle proprio non le sopporto. Mettiamola così: sono allergica all’ordine precostituito.
Questa, forse, non tutti la conoscono, ma ci fu un’occasione in cui, nel 1992, fui convocata nientepopodimeno che a Backingam Palace, per il conferimento del titolo di Ufficiale dell’Eccellentissimo Ordine dell’Impero Britannico. Che onore, mica roba da poco. Ebbene, mi presentai, lo rammento ancora, agghindata di un’elegante gonna a ruota e mi esibii in una pirouette, a favore dei fotografi. Non è così che si procede, in questi casi? Dimenticavo, fece scalpore il fatto che non indossassi – se ne resero conto tutti – biancheria intima. “Ho sentito dire che la foto è piaciuta alla Regina”, commentai.
I canoni del ‘buon gusto’, per me, si limitavano e si limitano, tutt’oggi, a quel che prevede l’accordo tra pancia e raziocinio. Un punto di vista assolutamente personale, lo ammetto. Ma che volete farci? Sono fatta così.
Lungo la medesima peregrinazione, posso rivelarvi che ho sempre amato il tartan, le crinoline e quanto mi riporta indietro, nella Francia godereccia del XVII e del XVIII secolo. Sono maliziosa, civettuola, scanzonata e irriverente. Bla, bla bla…. provateci voi. Serve coerenza anche per questo.
Per gli appassionati di Carrie Bradshaw e delle sue strambe e accattivanti mise, sappiate che l’ho addobbata, secondo il mio stile, nel mentre di una scena, che la vedeva protagonista di un servizio fotografico. Certi momenti non si dimenticano, mi è stato detto e, in effetti, si trattava di un meraviglioso outfit color champagne. “Un abito così speciale, che riuscirebbe a strappare una lacrima persino alla più cinica delle donne“, è stato il commento. Beh, glie l’ho dedicato. Come avrei potuto contraccambiare, altrimenti, tanta gentilezza?
In chiusura del Novecento, le top model hanno portato alla ribalta il mio concept: Anglomania. Naturale, no? Conseguenziale, direi, come vedere scivolare da tacchi vertiginosi, persino la pantera nera Naomi Campbell. Io l’avevo elevata su un piedistallo e lei, dea delle sfilate, si era miseramente riversata a terra.
Quando Lei, la Venere nera, ebbe a domandarmi: “Ti preoccupasti, quando mi vedesti cadere, in passerella?”, “Beh, si vedeva che stavi bene, Naomi”, le risposi. Kate Moss, invece, l’ho proprio spogliata. Nel ’94, quella sua bellezza androgina l’ho resa plateale, facendola sfilare a petto nudo, mentre in mano teneva un cono gelato. Oh, non siate puritani. Che c’è di male? Nel 2005, mi sono persino messa in gioco, a tutela dei diritti civili. “I am not a terrorist, please don’t arrest me”, ho arredato così le mie magliette. Ma non crediate, le battaglie sociali sono state diverse. Non mi sono mai annoiata…
L’ultimo e più recente impegno riguarda i cambiamenti climatici. Mi spendo a favore dell’ambiente, come tanti, in fondo. Mi batto per una moda sostenibile, tutto qui. E cerco di raccontare, ancora oggi, la “nuda verità”. Che bacchettoni, vi fate specie del mio essere poco coperta, così, anziana. E dimenticate, invece, il punto focale: Save the World – The Big Picture rappresenta, a mio avviso, una campagna straordinaria, poiché mira – nel lasciare interdetti – a rendersi veicolo di un messaggio d’allarme.
La pubblicità è l’anima del commercio. Possibile che ancora non lo abbiate compreso? Il Mondo necessita di gesti di avveniristica responsabilità, e ne ha bisogno subito.
Ha bisogno di ‘animali da sfondamento’ per abbattere certi tabù. E, Signori, suggeritemelo voi, chi, meglio di un’ariete?
LEGGI ANCHE: Fumo di un vento lontano… quei giorni di gloria della Venere nera
LEGGI ANCHE: Kate Moss: racconto di un angelo scivolato dal cielo
Commento all'articolo