Figli di un Dio minore…
“No, non puoi capire“, scrive Capitta a un amico. “3 vs 1, stanotte, lascia stare. Che roba… poi ti farò vedere“. L’amico muore di curiosità. “Ma con una tipa?“, gli domanda. “E no, eh… ma che ridere ahahah. Ero ubriaco marcio. Frate’ te lo giuro“. L’interlocutore vuole sapere se era assieme a Corsiglia e Ciro. “3 vs 1. Ovvio“, risponde, allora, Capitta. Mente, per proteggere Lauria, l’unico fidanzato della combriccola. L’altro, Corsiglia, in realtà, in quel mentre, dormiva.
Poi prosegue: “Ero veramente, alle 10 del mattino, ubriaco marcio. Bevuto beverone alle nove. Poi vi racconterò. Ora non si può ancora. Comunque, c’era il cameraman… Sai che non me le faccio scappare queste occasioni. 4 video facili… Sono stanco, poi vi farò vedere tutto. All’inizio stavo – ti giuro – morendo dal ridere. Ti chiamo io dopo, che ora sono in casa. Se sono ancora vivo rispondo. Ora sono morto. Siamo andati al Billionaire. Tutti 50 hanno messo, in qualche modo“. L’amico è ammirato. “Sei un idolo“, gli scrive. E Capitta: “Assurdo, sono rotto. Anni che non ero così“. Nel botta e risposta si legge anche un breve accenno alle condizioni fisiche, non buone, di Silvia e un commento, eloquente, dell’amico: “Poveraccia“.
Basta? Siete sazi o, pure voi, avete ancora sete di sapere; voglia di andare a frugare dentro i fatti di quell’assurda notte? Alle 14.15 del 17 luglio 2019 Capitta, Ciro Grillo, Vittorio Lauria e Francesco Corsiglia hanno appena accompagnato Silvia e Roberta (nomi di fantasia) ad Arzachena, dove hanno potuto prendere un taxi per Porto Pollo. I quattro amici stanno invece rientrando al resort di Cala di Volpe. La moglie di Beppe Grillo e madre di Ciro, Parvin Tadjik, li sta aspettando per pranzo.
Questo è quel che rimane. La straordinaria apparenza con cui la vita, pure di fronte agli episodi più atroci, continua, immune al dolore, sorda ai fatti, prima ancora che si faccia di tutto per rimuoverli, per occultarli o dimenticarli. Quando ancora, la mente, ubriaca, si fa ebbrezza di sensazioni che sanno smuovere fino alle viscere. Poi, poco importa se, subito oltre, per terra, rimanga una scia di schifo che il tanfo, se appena ci si avvicina, si sente ancora adesso.
Capitta non sta nella pelle per la nottata, deve raccontare… condividere. Sennò, che gusto c’è? Le sue chat, su Whatsapp, finite agli atti dell’inchiesta di Tempio Pausania al pari di quelle degli altri tre indagati, documentano la coda di un’eccitazione non ancora trascorsa e la piena incoscienza, rispetto al peso di quanto appena accaduto.
Messaggi, emoticon, oscenità, epiteti irripetibili. Alle frementi richieste di dettagli, un’intimità, rivelata senza pudore. E in uno stato fisico tale, da non ricordare neanche il nome della malcapitata con cui i quattro avevano appena avuto rapporti. La stessa che, trascorsi otto giorni, li denuncerà per stupro. “Ma che ne so chi era! Non si può fare questa vita…“, è la risposta di Edoardo, nel momento in cui, ‘a caldo’, resoconta il grosso ad un amico di Genova.
“Ci ho parlato mezz’ora (con Silvia, ndr). Dal vivo, molto più bella di così. Poi vi racconterò tutto, non dire niente per ora“. E’ evidente, a seguire, sempre via chat, l’invio di una foto della ragazza. “Ma stavamo morendo, te lo giuro. Perché all’inizio non sembrava che volesse“.
Forza, venite gente, che il Circo è aperto. Avvicinatevi! Qui i Leoni che saltano nel cerchio di fuoco. Qui i nani e gli elefanti e le tigri ammaestrate…
Ancora, vero? Avete ancora bisogno di altri particolari. Non è così?
Poco dopo, è nuovamente Capitta, protagonista di una chat con un’altra persona. “Bro, abbiamo fatto un casino stanotte. 3 vs 1“. L’interlocutore è incredulo: “Puede chiamarti? Non credo a quello che leggo“.
Perché ‘fare’, senza poi poter raccontare, che senso ha? La stellina sul bavero, la tacca sulla cintola a cosa servono, se poi non ti perdi tra i particolari e, insieme a te, Guru di una narrazione quanto meno surreale, non c’è l’orecchio di un interlocutore curioso di spogliare, pure Lui, i fatti; di indagarli, in maniera talmente morbosa da ripercorrere, a suo modo, i medesimi comportamenti già perpetrati dagli interpreti diretti della vicenda?
Non uno, bensì quattro filmati. Girati da Capitta. Questo conta, per gli inquirenti che, nella scrematura delle indagini, pesa e pesa eccome. E quell’ulteriore passaggio, che suscita attenzione.
Trascorrono i giorni. Ma, evidentemente, non per tutti allo stesso modo. Il 26 luglio, Silvia presenta, ai carabinieri della Compagnia Duomo di Milano, una denuncia. Sostiene di essere stata violentata da Corsiglia, da solo. Poi, dagli altri tre, in gruppo. Ritiene che l’appartamento antistante a quello della famiglia Grillo sia stato il teatro di un abuso ripetuto e di non essere stata consenziente.
I quattro vengono iscritti sul registro degli indagati. Ma l’unico pensiero che ancora li abita, ignari, riguarda i video. 31 luglio: Ciro Grillo contatta Capitta. “Oh, mi mandi quei video? Quelli…“. “Ahahahah, perché li vuoi? Non li mando a nessuno, Cì”. “Li voglio far vedere a due amici e agli altri. Vabbè, come vuoi“.
Tutti, di sicuro, siamo figli. Ed è per questo che, allestiti di un certo senso di pudore, abbiamo preferito, finora, sorvolare sull’episodio di cui sopra. Per quanto ci riguarda, più strettamente, tuttavia, possediamo l’età per essere anche genitori. Dunque, ci interroghiamo: ‘Se le parole appena lette fossero state pronunciate da mio figlio?‘ Ciò che più desta raccapriccio, in questa storia, è il tentativo, costante, di tramutare ‘il fiore in coniglio’. Ciò non di meno, per quanto ci si sforzi, non si tratta di una bravata. Quattro risate con i nostri complici, una volta ripresa coscienza e un ricordo da portarci appresso – magari arredato anche da un pizzico di nostalgia – per tutta la vita. E un sospirone, in arredo, ogni volta che ci si ripensa.
No. Questo non ha niente a che fare con i frammenti d’estate. E’ un marchio. Un’efferatezza che, malcelata dal Solleone, ti si imprime addosso e ti rimane dentro. Ti segna, da qualunque parte della barricata tu stia. Vittima o carnefice. Ma voi ve la sentite di stabilire chi è cosa?
Perché, se è vero che Silvia e Roberta hanno pagato e stanno pagando, tutt’ora, un prezzo altissimo e ingiusto, non da meno sono loro: Ciro, Edoardo e gli altri due. Inconsapevoli prede di se stessi, della superficialità che, evidentemente, li ha resi ciechi. Della stoltezza di chi non ha saputo trasmettere loro una serie di valori, che li avrebbero salvati. Della vanagloria che si riceve nell’essere guardati, ammirati, invidiati. Ma poi che rimane? Fumo, se va tutto bene. Altrimenti l’incendio, come in questo caso, si trascina via tutto.
Non intendiamo fare la morale a nessuno che, qui, anzi, occorre silenzio. Però alziamo gli occhi, tutti. Ha ragione Grillo, Beppe Grillo, nel sottolineare che sono ragazzi. Ma questi, in quella ‘fottutissima notte’ si sono vestiti da belve. Hanno afferrato, masticato, sbranato, senza vergogna, senza interrogativi, né dubbi. Come se l’azione si sentisse legittimata… da cosa? dai fumi dell’alcool? Da mamma e papà che tutto mi hanno permesso, finora? Da cosa?
Aiutateci a cercarla una risposta, giacché noi, davvero, non riusciamo a trovarla.
Pensare che, nella sfiga, erano stati pure fortunati. Tutto coperto dal silenzio, come si addice, per tradizione, quando le cose capitano ai ‘figli di papà’. Poi l’uscita, disgraziata, del comico o ex tale, che qui da ridere non c’è nulla e via con la campagna mediatica. A beneficio di… ?
Non certo delle ragazze, va da sé. Ma neppure di loro, quei maschi così fragili. Così ancora troppo infantili per dirsi uomini che, poi, per dichiararsi tali, a volte, non basta una vita. Ora, un giorno via l’altro, viene fuori tutto e fa male, persino a noi che occupiamo solo l’infelice ruolo di spettatori. Difficile, persino in questa posizione apparentemente comoda, lasciarsi distrarre, che i fatti piombano addosso tipo macigni.
Ieri moriva Franco Battiato. Oggi ‘questo’ ci conduce in una dimensione ‘altra’: distorta, estraniante. Possibile che stiamo parlando dello stesso argomento? Possibile si tratti, comunque, di esseri umani?
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