Assai più di un’Abbazia. Qui siamo in Hotel…
Conventi. Luoghi sacri, nati per la riflessione, il silenzio… ispiratori di preghiera, veri spazi di meditazione. Non solo…
La rivisitazione moderna li concepisce sotto le inedite e proficue spoglie di Hotel di Lusso, location ‘eccezionali’. I monaci – del resto – veri eletti tra i membri del Clero – figli secondogeniti di famiglie di alto lignaggio, poco avvezzi, magari, alla vita militare – erano, destinati a rivestire il ruolo di custodi di questi centri geopolitici ed economici, spesso celati sotto le sembianze, unicamente, di sedi di culto.
Ebbene, non era così o meglio, non era ‘solo’ così. Tant’è, nel rinnovato concept di hotellerie, persino il monastero di San Domenico Palace, in quel di Taormina, viene rivisitato, per trasformarsi – senza neppure sforzi esagerati – nella stella di punta della catena Four Season. Dunque, già all’entrata, in quello che fu il primo chiostro originario, si respira una sensazione di pace estrema; si percepisce, forte, il senso della storia ( vd. l’antichissimo colonnato Romano); mentre si fa amicizia con il senso di piacere, che solo la presenza di agi riesce a regalare.
Gran parte dei visitatori, al momento, sono Americani, eppure l’idea dell’Hotel risale – oramai – al 1896, meta di Gran Tour e cartolina per l’intellighenzia Europea.
Il giardino – nella narrazione iconografica – introduce all’infinity pool, sorta di museo a cielo aperto di erbe aromatiche e ristrutturato, come da principio ellenico, per rispondere agli elementi della terra. A destra, pertanto, troviamo il fuoco de La montagna: l’Etna; a sinistra, la terra, grazie al Teatro Romano; davanti, l’acqua e il saggio Mediterraneo; alle spalle, infine, l’aria e il vento, che tutto traduce.
Meta, ad oggi, di seduzione ed intrattenimento, garbatamente si racconta, attraverso la scalinata ricoperta di fiori, che regala la prospettiva migliore. Poi ci sono le suite, munite di piscina privata e la terrazza, laddove, un tempo, era situato il refettorio dalle volte vertiginose. Oggi la sala è dominata da un’enorme madia, in prezioso abete nero.
Il chiostro segreto, in ultimo, parla di notti in cui rifugiarsi in uno stato di quiete assoluta, tra reperti storici ed effigi d’epoca. Menzione speciale per la cucina. A dirigere il gran daffare tra i fornelli, lo chef Massimo Mannaro (il suo spaghettone è, a dir poco, vulcanico) e il pastry chef Vincenzo Abagnale, consapevole della geolocalizzazione, affatto piegata ai voleri di una clientela, per lo più internazionale.
Il riassunto di quello che potremmo definire un buen retiro, in sintesi. Prediletto dagli intellettuali, amato dagli stranieri; scoperta, per i viaggiatori contemporanei…
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