Storia inedita di un piatto di contrabbando

Storia inedita di un piatto di contrabbando

Forse non tutti ne sono al corrente, ma esiste un piatto della tradizione che, in molti, credono ereditato dalla Francia. Si tratta, invece, di una pietanza tutta Italiana, dalla storia, peraltro, affascinante e avventurosa. Stiamo parlando del Vitello tonnato, acclamato e rivendicato – rispetto alla ricetta – da diverse regionalità della Penisola.

Di certo c’è che, negli anni ’80, divenne un vero e proprio passepartout, simbolo dell’estate a tavola, emblema di un certo genere di cucina.

La verità è che, per rintracciarne le radici, tocca recarsi in Piemonte, precisamente nella zona di Cuneo dove nacque, agli inizi del XVIII secolo, anche grazie ai traffici di masnade di contrabbandieri.

Nella versione originale, acciughe e capperi esistevano già. Quello che, invece, non esisteva – per quanto possa risultare assurdo – era proprio il tonno. Un paradosso culinario dovuto al nome, coniato in un epoca e in una terra, il Ducato di Savoia, dove francesismi e assonanze transalpine permeavano il dialetto.

UN PROBLEMA DI LINGUA

Vitel altro non era che una sorta di francese maccheronico applicato al termine “Veau“; mentre Tonnè sarebbe la storpiatura di “tannè“, ovvero “conciato“,” condito“. Probabilmente, venne così definito, per nobilitarne le origini. Attraverso la lingua dell’aristocrazia, un piatto che, al contrario, era assolutamente popolare, preparato con gli scarti e gli avanzi della carne di vitello fatta lessare a lungo, per renderla più morbida possibile, assumeva – insomma – un rango, diverso e più elevato.

C’è, poi, chi sostiene che l’attributo tonnato derivasse dal fatto che il vitello veniva cotto, al tempo, proprio come il tonno e magari fu da questa considerazione che si giunse all’idea di aggiungere, più tardi, anche il pesce sott’olio. La carne, in principio, veniva condita con olio, limone, capperi e acciughe; introdotte, queste ultime, in Piemonte, grazie ai contrabbandieri di sale. Attraversavano il Colle di tenda per recarsi in Francia, alle foci del Rodano, dove potevano acquistare, a prezzi decisamente convenienti, il richiestissimo prodotto che, altrimenti, raggiungeva cifre stellari. Bisognava, però, riuscire a trasportarlo, evitando i dazi doganali, salatissimi anch’essi e i controlli alla frontiera.

I più ingegnosi pensarono, allora, di nascondere i carichi di sale sotto grandi quantità di acciughe che, diversamente, erano molto economiche. Facilitarono, così, la loro veloce diffusione in tutti i territori del Ducato, caratterizzandone la gastronomia con il Vitello tonnato – appunto – e con la Bagna càuda. Per secoli servito alla “contrabbandiera“, il vitello divenne Tonné (nel senso letterale) solo nella seconda metà del 1800, aggiungendo il tonno, in un perfetto abbinamento mare & monti.

IL GRAN MAESTRO ARTUSI

La ricetta, rinforzata, venne quindi sancita ufficialmente da Pellegrino Artusi che la pubblicò, nel 1891. Il tonno, all’inizio, era venduto in grandi latte da 5kg e non tutti potevano permetterselo. In più, c’era il problema della sua conservazione, una volta aperto.

Tra gli anni ’50 e ’60 si diffusero le scatolette, ad uso domestico. Il tonno sott’olio entrò nelle case di tutti gli Italiani e ciò contribuì, in maniera significativa, alla diffusione della tanto decantata preparazione, in tutto il Paese. Una fresca e gustosa leccornia che, a quanto pare ancora oggi piace, piace, piace…

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