Italiano? Questo sconosciuto, o quasi
Puristi della lingua? Ebbene, vi sarete di certo accorti che l’Italiano sa essere parecchio insidioso. Capita, dunque, anche per i più preparati, di incorrere, talvolta, in innocenti errori, vuoi per la fretta, vuoi per un momento di distrazione o, magari, più comunemente, perché ci si è dimenticati di quella o talaltra regola ortografica.
Mea culpa, facili da espletare e da correggere che, un pochino, fanno anche sorridere…
Partiamo, allora, da un classico. Se vi domandassimo il plurale di ciliegia? Cosa pretende la regola? Se prima di -cia o -gia c’è una vocale, la -I si mantiene, anche al plurale (ciliEgia -ciliegIe; camIcia – camicIe); diversamente, mentre se prima di -cia e -gia troviamo una consonante, allora la storia cambia e la I sparisce: (spiaGgia – spiaGGE; roCcia – roCCE). Più semplice di così?
“Piuttosto che” si usa, per indicare una preferenza.
“Prendo il taxi, piuttosto che la metro, piuttosto che andare a piedi“. Lo potremmo, insomma, tradurre con un “anziché“. Implica, cioè, una determinazione, una scelta, che nulla ha a che fare con il concetto di congiunzione: “e“, o possibilità: “oppure“.
Si scrive “qual è“, mai “qual’è“. Parimenti, “buon uomo” e non “buon’uomo“. Si parla, difatti, in tali casi, di troncamento e non di elisione. Dunque, bando all’apostrofo!
“Ho appena sentito Francesca e gli ho detto di non preoccuparsi“. Preoccupati tu, caro/a mia, perché, se il complemento di termine è riferibile al femminile, il pronome corrispondente è “LE“, proprio come nell’esempio appena menzionato.
“E’ tutto APPOSTO?”. Probabilmente no, dal momento che l’accezione giusta è “a posto“. Apposto è il participio di apporre e non è davvero il caso di adoperarlo nella circostanza. A meno che non lo si faccia Apposta… ma questa è tutta un’altra storia. Scherzi a parte, la vexata quaestio del raddoppiamento delle consonanti non è affare da mandare fuori di testa solo gli stranieri. Capita anche a chi è di madre lingua di prendere una cantonata. Poco male, se si risolve nell’immediato.
Altro dubbio amletico: “Mario fa la pasta” o “Mario, fa’ la pasta“? Ecco, queste sono le due forme possibili, in cui scrivere il monosillabo. La prima rappresenta il presente dell’indicativo e la seconda è un bell’imperativo. Ciò premesso, ce n’è solo una che non va bene (MAI) ed è “fà“.
“Dappertutto“? Vi aiutiamo noi… si scrive così. Ancora, il maestro, da piccoli, ha insistito moltissimo sul fatto che, dopo il digramma -gn, non andasse mai messa una -i. E aveva ragione: gnIomo, castagnIa… roba da incubo. Eppure, buona norma contempla le dovute eccezioni. Così, ci riferiamo, ad esempio, alla Compagnia dell’anello. Allo stesso modo: noi amiamo, noi sogniamo…
Altro giro, altra corsa. “Vado a pésca” o “mangio una pèsca“? L’accento è chiuso nel primo caso; aperto, nel secondo e non si discute. In “perché“, invece, entrambe le vocali sono chiuse.
“Una tantum“, per chi non ne fosse la corrente, non significa “una volta ogni tanto“; bensì, “una sola volta (e mai più)“.
Ci sono, altresì, circostanze in cui non ci si può permettere di sbagliare:
- Le autorità hanno deciso di evacuare la popolazione
- Vi hanno proposto un affare che vi sembra proficuo
- Gli attori si aspettano di riscuotere un grande successo
- Questi errori non sono innocui
Prendiamo in considerazione un ulteriore caso: “Vado a Amsterdam e lì mi vedo con Alessio e Elisabetta“. Non vi sembra che, nella frase, manchi qualcosa? Ecco, manca quella bella “d” che rende il suono armonioso, anche detta d eufonica. “Vado aD Amsterdam e lì mi vedo con Alessio eD Elisabetta“. Meglio!
Attenzione, tuttavia, se la meta è Oslo e Alessio si presenta con Ilaria al posto di Elisabetta, beh, allora la faccenda cambia. Niente D eufonica, giacché la regola vale solo quando la parola che segue inizia per la stessa vocale.
Siamo tutti D’ACCORDO, la grammatica, forse, è un po’ noiosa. Ma ricordarne alcune norme fondamentali può evitarci eventuali brutte figure. E, in questo caso, il gioco vale decisamente la candela.
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