Italiano: storia di una lunga storia…

Italiano: storia di una lunga storia…

Un processo, lungo e graduale, il cui inizio è rintracciabile, nel momento della caduta dell’Impero Romano, nel quinto secolo.

Fino ad allora, il latino imperava come madre franca – adoperato presso le università europee, in tutti gli atti ufficiali e in varie procedure ecclesiastiche – o, più semplicemente, come lingua condivisa.

In seguito, le forme, vernacolare e locale, hanno assunto un ruolo prioritario, condizionando l’intera società. I Placiti Cassinesi, a tal proposito, rappresentano il primo esempio di documenti in volgare, redatti in una maniera che vuol essere, per il tempo, colta e ufficiale.

Dall’inizio del XIII secolo, poi, buona parte della letteratura (in particolare le poesie) inizia ad essere pubblicata in italiano regionale. I Poeti Siciliani, con il loro contributo significativo, ne furono i maggiori promotori, seguiti successivamente dai toscani. Vi dicono nulla i nomi di DanteBoccaccioPetrarca?

Dal punto di vista storico, dunque, è possibile affermare che il Dialetto Toscano, alto o colto, costituì, un tempo, la base dell’italiano moderno.

Risultato, quel che oggi conosciamo, di un lungo e complesso processo evolutivo, fatto di dibattiti, già a cominciare dal 1600, riguardo la forma corretta da utilizzare, nello scritto, come nel parlato. Questione, rimasta in sospeso sino al tramonto del ‘900, quando scrittori e personaggi dell’epoca decisero di applicare, nelle personali dissertazioni, il modello Toscano.

Del resto, molto ha contato, nell’unificazione della lingua, anche il contesto storico. Prima dell’Unità d’Italia, nel 1861, il Paese di distribuiva in stati e staterelli, solitamente governati da domini stranieri. Solo in seguito all’unificazione, il Toscano si rese il parlato ufficiale.

Ciò nonostante, l’alto tasso di analfabetismo si protrasse a lungo, continuando a predominare nelle regioni rurali, fino al 1950. Furono, quindi, i dialetti, ad avere la meglio, specie nella vita di tutti i giorni. Un caso unico, quello della Penisola, se comparato al resto dell’Europa. Ancora aperto, peraltro, giacché sono numerosi i contesti, sociali e familiari, in cui ancora si adopera la comunicazione ‘di casa’.

Contrariamente alla comune credenza, si contano ancora regioni in cui, tra le generazioni più anziane, se ne fa largo uso. Per quel che riguarda, invece, la fasce giovani, parecchi, pur non esprimendosi in dialetto, lo comprendono perfettamente.

Vale la pena – inoltre – ricordare che i dialetti, proprio come gli accenti, sono soggetti a mutazioni, anche all’interno della stessa regione. In Toscana, ad esempio, il fiorentino si differenzia grandemente dal pisano o dal livornese, e così via. E non è insolito riscontrare differenze, anche a pochi km di distanza.

Vere e proprie realtà culturali, in sintesi, niente affatto inferiori a quello che potremmo definire l’italiano standard. Del resto, negli ultimi 50 anni, molti tra i termini ricorrenti toscani, lombardi, veneti, napoletani, siciliani sono entrati a far parte dell’uso comune.

Pensate, recenti statistiche hanno, addirittura, rivelato che in Veneto – per dirne una – tra le zone più economicamente sviluppate, circa la metà della popolazione parla in dialetto, sia con i familiari, sia con gli amici.

Poi, intorno al 1950, la ricostruzione politica, sociale, economica e delle infrastrutture mutò il quadro. Se meno del 20% della popolazione parlava un italiano fluente, a tutti, la Costituzione, fornì il diritto all’educazione scolastica di base.

Ideale, che dovette inevitabilmente fare i conti con la realtà: i bambini appartenenti a famiglie della classe operaia rimanevano, principalmente, una risorsa economica da sfruttare. Dunque, in pochi avevano la possibilità di terminare gli studi.

L’effetto ‘scatenante’ – se così lo vogliamo chiamare – si ebbe, allora, con l’introduzione della televisione. Nel 1954, l’Emittente di Stato trasmetteva solo su un canale. Negli anni successivi, quelli, per capirci, del boom economico – 1958/1962 – lo schermo non solo si fece mezzo aggregante, ma divenne anche il modo, tramite il quale fare divulgazione.

Trasmissioni quali Non è mai troppo tardi si resero porta voci dell’esigenza di imparare a leggere e scrivere, da parte dei nostri connazionali. Una stima rileva che, in questo periodo, circa un milione e mezzo di persone ottenne il certificato di educazione primaria.

In sintesi, crescita economica, migliori condizioni di vita, graduale diffusione dell’educazione e programmi linguistici in TV incrementarono la diffusione dell’italiano.

Strano a dirsi, ciò che, nei primi 20 anni, ha svolto una funzione prettamente educativa, a partire dagli anni ’80, ha rivendicato un ruolo differente, dedita – la Tv – soprattutto all’intrattenimento, incline alle banalità, ordinaria; po, persino volgare. Tanto che, con il trascorrere del tempo, l’impatto nell’educazione delle generazioni più fresche si è rivelato negativo. Si è incrementato l’uso di espressioni gergali, prive di sintassi, poco congeniali ad un vocabolario che, di suo, conta – tra espressioni idiomatiche e sfumature semantiche – dalle 80,000 alle 250,000 voci. Ebbene, le ricerche sull’argomento attestano che, nella conversazione quotidiana, se ne adoperano, più o meno, 3000, con buona pace di tutte le altre.

Un’ultima curiosità

L’Accademia della Crusca (l’accademia linguistica italiana), ad oggi, rappresenta l’organo responsabile del controllo e registrazione di tutti i fenomeni e cambiamenti linguistici.

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