Merope’s Tales (capitolo 4)
“Hai una pistola nella tasca o sei solo felice di vedermi?“. Conoscete Mae West?
Allora, se non ne avete mai sentito parlare, oppure se, diversamente, il suo nome non vi è nuovo, sappiate, in ogni caso, che si tratta di una ‘fagottata’ di curve e ironia. Un’antesignana del Vaudeville, Vamp del cinema di inizio ‘900. Una che la sua carriera se l’è scritta passo passo, secondo un esercizio mentale del tutto personale.
Un percorso, intrapreso ad appena 5 anni e terminato, quando l’orologio ne segnava ottantasette. Niente male, non vi pare?
Vi racconto di Lei, per via, soprattutto, del carattere spregiudicato, dell’anticonformismo, della capacità rivoluzionaria che l’ha contraddistinta. Un esempio, per tutte noi. Per tutte noi donne, intendo. Una della ‘vecchia guardia’, dove di ‘vecchio’ – a guardar bene – c’era e c’è davvero poco.
Sex, nel 1926, scritta in prima persona, ne decretò insieme il successo… e l’arresto. Del resto, caustica, spregiudicata, in quel di Hollywood sapeva come farsi notare. In più, privilegio assai raro ai tempi, ebbe la possibilità di ritoccare i suoi personaggi e riscriversi i dialoghi. Bastò una particina, un ruolo secondario affidatole, nel ’32, da Paramount in Nigth after Nigth per rubare su di sé l’attenzione del pubblico.
Un anno dopo, nel 1933, arrivava il bis ma stavolta la parte era quella da protagonista. Diamond Lil, commedia scritta di suo pugno nel ’28, offriva l’occasione per una pellicola; no, anzi, per la pellicola che ne avrebbe decretato l’immortalità.
She Done Him Wrong (Lady Lou – La donna fatale) di Lowell Sherman era una commedia piccante, sceneggiata dalla stessa West, in cui l’attrice seppe imporre quel suo fare fascinoso e insieme sferzante. La lingua tagliente si abbinava perfettamente ad una fisicità burrosa, languida, accogliente… Complementarietà, idolatrata dagli spettatori, mal vista da chi stava dietro le quinte, data anche la moltitudine di abiti sfarzosi e costosi gioielli di cui la Star faceva spesso sfoggio. Maliziosa, privilegiata, ricca… troppo! Fuori luogo, in un’America messa in ginocchio dalla Depressione. Rappresentava un rischio, questo i produttori lo sapevano bene, nonostante i numeri, al botteghino, non lasciassero dubbi.
Tra le interpreti più amate d’America, rappresentava un vero incubo per i censori, che ne castigavano gli ammiccamenti, le battute, quegli ancheggiamenti che avrebbero fatto perdere la testa a chiunque. Una vita, trascorsa tra il palco del Teatro e quello del Grande Schermo… Pensate che, inizialmente, Billy Wilder aveva decretato proprio Lei come futura Norma Desmond, in Sunset Boulevard. L’idea di avventurarsi verso il Viale del tramonto deve averla spaventata, però, o irritata… fatto sta, dato il diniego, la parte venne poi magistralmente sostenuta da Gloria Swanson. Non è una bio, questa, quindi inutile raccontare quel che segue… la perdita della memoria… Noi ne conosciamo e ne riconosciamo il valore, l’avanguardia, il disincanto…
Fa parte, Mae, d’altronde, della schiera di donne che ci ha insegnato ‘come esserlo’. Ha tracciato una strada. L’ha percorsa, incurante dei detrattori, delle critiche, di quanti la osteggiavano. Si è disegnata modello. Non sono un angelo ci ha ricordato, forse attraverso la pellicola di suo maggior credito, girata accanto ad un allora giovanissimo Cary Grant e, intanto, non ha perso l’occasione per provocarci: “Quando sono buona sono molto buona. Ma quando sono cattiva… sono ancora meglio!“
E, sull’onda delle provocazioni, mi ritrovo a fare i conti con Gipsy Rose Lee. Rose Louise Hovick – classe 1911 – può considerarsi, a tutti gli effetti, la regina dello spogliarello. Colei che ha saputo ispirare, in seguito, Tempest Storme, Betty Grable… Una, che seppe marchiare per sempre con la propria presenza le Ziegfeld Follies. Mi spiego che, magari, non tutti ne hanno sentito parlare… Trattasi di spettacoli teatrali prodotti a Broadway tra il 1907 e il 1931, che traevano ispirazione dalle Folies Bergère di Parigi. Comprendevano numeri musicali e sketch comici…
Insomma, vi dicevo, Gipsy fu la più celebre danzatrice di varietà, in quegli anni. Impresse la sua immagine nella memoria di molti, tanto che, nel 1962, il regista Mervyn LeRoy volle trarre un film dalla sua autobiografia, già traslata a teatro in forma di Musical.
Gipsy: La donna che inventò lo strip-tease ripropone, con quel tanto della melodrammaticità concessa alla Settima Arte, le vicende di Louise. Il rapporto con la sorella, apparentemente più avvenente; con una madre, presa a riversare sulle figlie le proprie ambizioni insoddisfatte e il desiderio di vederle finalmente realizzate.
Più ci penso, più mi ricorda Bellissima, capolavoro Viscontiano, datato 1951. Una strepitosa Anna Magnani, lì, vestiva i panni di una mamma, Maddalena… pronta a tutto, pur di colmare il vuoto delle sue aspettative irrisolte. La scena in cui alla figlia Maria vengono tranciate di netto le treccine, dalle mani imberbi ed inesperte del giovanissimo garzone del barbiere, rimane memorabile. “Mi raccomando, giusto una spuntatina“, si assicura Lei, ignara di quel che sta per accadere.
Così, alla stregua di quella bambina, alla stregua di Maria, forse anch’essa timida, impacciata, almeno inizialmente, forse con scarso interesse, all’inizio, per il mondo dello spettacolo, all’età di soli 4 anni anche Gipsy veniva portata, suo malgrado, in tournée. In giro per la provincia Americana, in compagnia di una sorella, assai più docile di carattere e, probabilmente, più dotata. June rappresentava, allora, il concentrato di tutti i desiderata materni.
Dunque, scuola… poca e mal frequentata. Di contro, tanta lettura, la scelta di tenersi informata… e un destino già impresso. Scritturata tra le ballerine di fila dei fratelli Minsky. Ricordate? Ne abbiamo già parlato…. Si fa notare, Gipsy, per i suoi monologhi spiritosi, capaci di spiazzare gli spettatori. Per le performance, che si protraggono anche oltre i 10 minuti. Un record. Perché si sveste, nel modo in cui nessuno se lo aspetta. E’ una regina Gipsy o, almeno, lo diventa, nel giro di soli 4 anni. Di più. E’ una militante. Lo fa, a favore del Fronte Popolare Spagnolo, poi per i figli dei Repubblicani orfani della guerra… Si spoglia per beneficenza; in altre circostanze, per cachet esorbitanti. Protettrice delle arti, frequenta poeti, compositori, intellettuali fuggiti al Nazismo… Li aiuta, li finanzia.
Verrà persino indagata dalla Commissione per le attività anti-americane, per aver sostenuto la causa dei ‘pervertiti’. Omosessuali, cosa credete? Con la sola colpa di distaccarsi dalla corrente comune.
E’ un’artista a tutto tondo, Louise. Scrive gialli, dipinge, espone le sue opere al Guggenheim. Si circonda, nella sua villa, dei doni ricevuti da Picasso, Mirò, Chagall… ammiratori. Si dimostra un’abile imprenditrice. Investe nella società Cinerama di Michael Todd, produttrice, tra l’altro, del Giro del mondo in ottanta giorni, che costerà 6 milioni di dollari, per incassarne 16.
Si sposa, si sposa, si ri-sposa… cade al suo cospetto niente di meno che Otto Preminger, dal quale avrà un figlio e anche un lauto mantenimento…
Capite? Come non posso venire irretita da figure come queste? Travolta, sì, benché si tratti di rapimento consensuale.
Ve ne racconto un’altra. Sapevate che i seni di Tempest Storm, al culmine della sua carriera, vennero assicurati ai Loids di Londra? Annie Blanche Banks – questo il nome, all’anagrafe – valeva, grazie ai suoi moneymakers, macchine per far soldi, una cifra pari ad 1 milione di dollari.
Un’altra ragazza, emersa dal coro. Vittima di abusi, ancora adolescente era scappata di casa. A vent’anni aveva già alle spalle due matrimoni. Era doppiamente divorziata e cercava la sua strada. Prostrati in ginocchio, di fronte a questo vero e proprio Uragano dalle chiome tinteggiate di fuoco caddero – udite udite – J.F. Kennedy, Elvis, Sammy Davis Jr., Mickey Rooney, Louis Armstron e una marea di altri che non menzionerò, per non tediarvi. Tranne uno, questo ve lo devo proprio rivelare perché si tratta di un gangster – tanto per non farsi mancare nulla: Mickey Cohen, socio, per diverso tempo, di Mattie Capone, fratello più giovane dell’assai più noto Al.
The Fabulous 4D Girl, come veniva chiamata, all’albeggiare del suo percorso, guadagnava circa 60 dollari a settimana, scoperta per caso mentre lavorava come cameriera in un ristorante. Nessuno avrebbe mai immaginato che sarebbe poi diventata la performer più pagata della storia, stipendiata con un contratto da 100.000 dollari l’anno, esibizioni che si distribuivano tra la California e il Nevada e presenza fissa sui palcoscenici di Las Vegas. ‘L’ultima tra le grandi leggende dell’età d’oro del Burlesque‘, secondo alcuni. ‘La più grande di tutte‘, precisano altri.
Deve essere stata sul serio una Bufera, penso tra me e me, per resistere fino alla veneranda età di 93 anni. Se ne è andata un martedì. Un giorno qualunque, per molti. Non per me. Ci ha salutati in data 20 aprile, in ricorrenza del mio compleanno. Coincidenza, che si va ad aggiungere alle innumerevoli riscontrate sinora.
Siete dubbiosi? Scettisci…? Lo so, lo so, ma, come sottolinea un vecchio adagio: Non credete; bensì, verificate!
Scherzi e citazioni a parte, in questo viaggio a ritroso – devo ammetterlo – c’è tanto da scoprire; il più delle volte, contenuti inaspettati. Prendete, ad esempio, lo stesso Cohen…
Per breve tempo assoldò anche una guardia del corpo, Johnny Stompanato, il quale, approfittando del ruolo assunto e dell’ombra protettiva del potente mafioso, dette sfogo alla sua indole, dedicandosi ad una serie di crimini efferati. Come è capitato altre volte nel corso della storia, il senso di potere che lo circondava fece di Stompanato anche uno tra i playboy più popolari di Hollywood. La sua violenza era tuttavia eccessiva, al punto tale che perfino The voice, Frank Sinatra si recò personalmente da Cohen, implorandolo di mettere fine alla relazione tra Stompanato e la sua ex moglie, Ava Gardner. Amante, pure, di Lana Turner, trovò la morte proprio per mano della figlia quindicenne dell’attrice.
Strano e affascinante come i fatti si intersechino tra loro. Come aderiscano perfettamente, risultato di un intreccio preciso, calibrato, che, se non fosse dato dal caso, potrebbe sembrare studiato.
Riprendiamo, ad esempio, la storia dei fratelli Minsky. Billy, Abe, Herbert e Morton erano, a tutti gli effetti, i sovrani di un mondo strampalato e un po’ grottesco, fatto di spettacoli vagamente allusivi, di numeri leggermente osé. Nulla di più. Poi, però, in loro ausilio intervenne… il proibizionismo. Una schiera di professionisti, tra cui medici, giornalisti, intellettuali… la classe abbiente, insomma, alla ricerca di divertimento e di prodotti di contrabbando, si spinse fino all’over east side, per unirsi alla schiera di operai immigrati, ubriaconi, perdigiorno, che già rinfoltivano le fila del National Winter Garden. Si creò, così, l’occasione, per i fratelli, di ampliare i propri orizzonti. Amplificare le aspettative e aumentare la quantità dei loro spettacoli, differenziandone le prestazioni, così da rispondere ad una domanda, per via anche della Grande Depressione, sempre crescente.
Nel 1932, però, Billy muore. Era lui il collante, Lui il genio creativo della famiglia. Abe, a sua volta, si allontana, prendendo il controllo di due tra i 5 teatri di proprietà. Herbet e Morton si trovano a dover fare i conti con il vecchio finanziatore che, inaspettatamente, Billy fuori dai giochi, si rivela legittimo proprietario della loro Attività.
Crollano i sogni. Crollano… i sogni? L’esperienza insegna e insegna, spesso, che per dar corpo alle brame non occorre spingersi troppo in là, ma solo… quel tanto che basta. Dirigere, come nel caso in questione, le risorse a beneficio di un solo obiettivo, preciso, selezionatissimo. Puntare, pertanto, ad una clientela raffinata. Suggestionandola con spettacoli dalla caratura, ben diversa dai precedenti. Studiare accuratamente i dettagli, prevedere… tutto. Così, sulle spoglie di quello che era stato un vecchio cinema, nasce il Minsky’s Oriental Theatre. Il meglio del meglio, di quanto c’era stato fino ad allora.
L’apertura, stando ai piani, si sarebbe tenuta la notte di Natale. Il titolo dello spettacolo sarebbe stato – e qui nasce il problema – Red, hot and Nude. Parodia, questa del Red, Hot and Blue, firmato Vinton Freedley. Troppo alta la provocazione, perché non venisse notata dal famelico La Guardia. Il sindaco censore sembrava non aspettasse altro per gettarsi, fauci spalancate, a ridosso dei due impresari. Furono verificati i contratti, passati in rassegna i copioni, controllati i tessuti dei costumi di scena… Ebbene, gli ispettori non riuscirono a rintracciare nulla. Nulla, almeno, che inducesse allo stop. Il cast, però, nel frattempo, si era esautorato dei propri elementi e all’inaugurazione, adesso, mancava davvero poco.
A risolvere l’impasse, il provvidenziale intervento – tenetevi forte – di Gipsy Rose Lee.
Ingabbiata nel contratto che la vincolava alla compagnia di Ziegfeld, decise di proporsi, in sussidio, nelle vesti di madrina. Ad attenderla, una gigante bottiglia di Champagne, per festeggiare la nuova Impresa ed il ritorno, pure, di tanti tra i componenti che, precedentemente, avevano abbandonato l’idea dell’Oriental Theatre.
“Non avrei mai immaginato che il Burlesque potesse essere… anche così“, fu il commento più ricorrente.
Già, la serata si rivelò un successo. Un’inaugurazione, rimasta nella storia. Il magnifico Misky, titolò, il giorno a seguire, l’articolo di critica dello spettacolo del New York Times.
Qualcosa di simile al canto del cigno. Il 1937 fu minato dall’intervento repressivo delle Forze dell’ordine e quella che rappresentava una realtà consolidata finì per scivolare, neppure troppo lentamente, nell’oscurità. Destinata all’oblio.
O, almeno così si credette per un po’.
Oggi, figure come Dirty Martini, Dita Von Teese, Kitten De Ville, la stessa Grace Hall… ci ricordano che il Burlesque è ancora vivo. Ha riposato, zitto zitto, lasciando poi il posto ad una sua interpretazione più moderna e attuale. New Burlesque, costellato di personaggi altrettanto emblematici, di racconti emotivamente coinvolgenti, come quelli ascoltati fin qui. Ed è in questa direzione che ho intenzione di addentrami, a breve.
Non prima, però, di aver giocato con Freaky Candy. Non è chiaro?
Vi spoilero solo questo: munitevi di veli, di palloncini, di ventagli dal taglio gigante e, più ancora, di fantasia e voglia di ballare. Qui si performa, care Signore; si fa spettacolo, ci si adorna e se poi un uomo vi guarda con particolare interesse, potreste sempre rispolverare quella lontana e sempre saggia frase di Mae West e chissà, quale potrebbe essere la risposta.
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