Disastro ad Hollywood: la prima volta fu Olive Thomas
Bellissima, non conosco altri aggettivi; non mi vengono in mente, per definirmi. Io, come ero allora. Io, che avrei desiderato diventare vecchia per potervi raccontare, oggi, la mia storia. Un percorso lungo, evidentemente, segnato da cadute, da risalite… come tutti quanti, insomma… E invece no.
Mi fermo a dirvi che ‘ero’ bellissima. Mi chiamo Olive Thomas. O meglio, il nome completo è Oliva R. Duffy. Sono nata sul finire dell’800. Sono morta speditamente, il 10 settembre 1920. Chi mi conosce lo sa: quando si parla di me mi si descrive come modella, fotomodella di prim’ordine – ho posato per le pagine di Vogue e Vanity Fair – e attrice. Una Diva. Una, che infarciva le file delle Ziegfeld Follies. Una, morta improvvisamente durante un viaggio in Francia.
Ma io non ero solo Olive. Ero anche e conta, in questa storia, la moglie di Jack Pickford; un secondo matrimonio, con il fratello della più celebre Mary. Scusate, non voglio allontanarmi, né tediarvi con rapporti di parentela, forse, troppo complicati…
Cominciamo con lo specificare che, persino sul mio nome, c’è chi nutre dubbi: secondo alcuni sarei Oliveretta Elaine. Certo è che rimasi orfana di padre molto presto. Troppo… presto. Così, come spesso succedeva in quegli anni alle ragazze della mia età, dovetti abbandonare gli studi per aiutare mia madre a crescere i miei fratelli più piccoli e mettermi a lavorare. James e William e il loro futuro: questa era, senza troppo discutere, la priorità.
Bernard Krug Thomas rappresentò – dunque – il punto di svolta. Mi impalmò nell’aprile del 1911. Un matrimonio, che naufragò dopo appena due anni. Tuttavia, di questo mio Amore conservai il cognome. Imputatelo pure al bisogno di mettere radici… Divorziata, mi trasferii a New York. Trovai impiego ad Harlem, dove svolgevo quelli che oggi chiameremmo lavoretti. Roba umile che, tuttavia, mi permetteva di andare avanti, di ‘sbarcare il lunario’.
Fu lì, mentre lavoravo come commessa – era il 1914 – che lessi un annuncio: il pittore Howard Chandler Christy, il creatore della Christy Girl, sarebbe stato il giudice in un concorso che avrebbe eletto La più bella ragazza di New York. Sapete, allora, agli inizi del vecchio secolo, i concorsi di bellezza rappresentavano una vera e propria occasione. Un’opportunità per essere notate, o per ‘accaparrarsi’ come si pensava ai tempi, ‘un buon partito’. Decisi, pertanto, di partecipare. Del resto, cosa avevo da perdere? Vinsi e fui subito presentata ad Harrison Fisher. Posavo per interminabili ore, davanti ai suoi occhi e lo feci, pure, in seguito, per William Haskell Coffin, che mi ritrasse per il suo giornale. Nuda, mi volle interpretare anche Penrhyn Stanlaws, un illustratore di origine scozzese che fece di me la sua musa. Between Poses rimane, probabilmente, tuttora, la sua opera di maggior successo.
Poi, fu la volta di Ziegfeld. Riguardo alla maniera in cui conobbi l’impresario più potente di New York si narrano diverse versioni. C’è chi racconta che, sfacciatamente, fui io stessa a presentarmi. D’altronde, è ciò che ho ammesso anche io, in prima persona. Poi – detrattori, forse – c’è, invece, chi sostiene che fu un mio ritratto – firmato da Harrison Fisher e pubblicato sulla copertina del Saturday Evening Post – a provocare l’effetto boomerang. Piacevo e mi raccomandarono. In ogni caso, comunque la si voglia intendere, la situazione sfociò nell’alba della mia carriera.
Mi trasformai, in breve, in una tra le Star delle Midnight Frolic, una serie di spettacoli dai toni piuttosto osé, dove le belle ragazze si presentavano vestite… state attenti, vestite ‘solo’ di palloncini e gli spettatori – uomini, soprattutto – si divertivano a scoppiarli, uno alla volta, grazie alla punta incandescente dei propri sigari.
Ah… uomini. Erano talmente potenti… e ricchi. Sembravano, a guardarli, i padroni del mondo e io mi ergevo, lì, sopra le loro teste. Vestita dei loro danari. Si chiacchierava sulle perle da 10.000 dollari che mi avrebbe regalato l’ambasciatore tedesco. Un souvenir… niente di più. Per qualche tempo, la relazione con Flo Ziegfeld sembrò addirittura adombrare l’unione di Lui con Billie Burke. Lei era lontana… si era trasferita in California per girare il suo primo film, Peggy. Sapete come va…
1915. Poi, a seguire, 1916… furono due anni intensi. Poi, Alberto Vargas mi fece posare e tutto cambiò. Il primo contratto lo firmai, nello stesso anno, con Thomas H. Ince, assurgendo, ben presto, al ruolo di Star della Triangle.
Nel dicembre del 1918, firmai un contratto con Myron Selznick. Lo so, per voi sono solo nomi, ma io vi sto mettendo tra le mani la mia vita. Un’esistenza nomade, breve. Giorni che mi hanno costretta a crescere in fretta. Una baby vamp, passata ad interpretare a stretto giro il ruolo della flapper. Scardinavo le regole, sul palco e fuori, durante le riprese, come nel quotidiano. Ragazza ‘bene’, esuberante e libera nei comportamenti. Scevra dalle norme impartite, benestante rappresentante dell’alta società dell’epoca. Io ero… prima ancora di Clara Bow, Louise Brooks o Joan Crawford, che sarebbero giunte anni dopo.
Potrei raccontarvi, a questo punto, che andava tutto bene. Cos’altro avrei potuto desiderare? Soldi, fama, amori, zingareschi e fantomatici… ero invidiata, idolatrata. Ero un’alcoolista, questa è la verità. Bevevo. Non riuscivo a farne a meno. Talmente ero infognata in questa mia debolezza che ebbi ben tre incidenti stradali nell’arco di un periodo… beh, nel giro di tre anni.
Dire che ero la moglie, allora, dell’uomo che aveva per sorella la fidanzata d’America. La partenza per l’Europa avrebbe dovuto rappresentare un secondo viaggio di nozze, dopo aver rinunciato, in precedenza, alla luna di miele. Impegni di lavoro, va da sé.
Fui la prima ad arrivare in Francia. Jack mi avrebbe raggiunta, non appena avesse terminato le riprese di The Little Shepherd of Kingdom Come. A Parigi, presi alloggio presso l’Hotel Crillon, in Place de la Concorde. Ci eravamo riservati – superfluo spiegarlo – l’appartamento reale.
Quando mi trovarono era una mattina come tante. L’inserviente testimoniò della scena che gli si presentò davanti agli occhi, fintanto che mi rinvenne. Nuda, priva di sensi, adagiata su una cappa da sera d’ermellino e con in mano una bottiglietta di veleno. Bicloruro di mercurio in granuli. Letale. Che l’avessi ingerita per errore? Jack li assumeva dal ’18, per curarsi dalla sifilide. Mi devo essere distratta, confusa… o forse li ho presi apposta, per mettere fine al dolore per i suoi continui tradimenti.
Che paradosso! La ‘ragazza americana ideale‘ era finita sulle prime pagine dei giornali mondiali, ingenerando l’incredulità e il cipiglio generale. Dietro la facciata da adorabile giovinetta si nascondeva, nella realtà, un’anima persa e perversa. Così pensò il pubblico. In breve, perché voi comprendiate, il buio che mi si incollava addosso, gettava ombre sulle Luci della ribalta che tutta, fino a quel momento, mi aveva avvolta. Ero stata sposata con un uomo che, dapprima, si era ben guardato dal divulgare la nostra unione. Poi, in un secondo tempo, visto il faro puntato sul mio percorso lavorativo, aveva valutato bene di ‘salire sul carro dei vincitori’. Chiaro, no?
Un essere, secondo molti, dall’accento riprovevole. Durante il periodo bellico, non potendo evitare d’impegnarsi s’arruolò in Marina, dove organizzò, con il sussidio di un collega, un sistema per destinare in posti sicuri persone altolocate che, come lui, volevano evitare di finire al fronte. Ah Jack… la cosa si riseppe e venne presto congedato con disonore…
Ah, non divaghiamo… I gendarmi francesi scoprirono che il mio tempo, anziché spenderlo tra boutique e negozi di antiquariato, lo avevo trascorso, impegnandolo nei night club dei bassifondi – il Jockey e il Maldoror, ad esempio – in compagnia di noti malavitosi. Iniziarono a circolare voci secondo cui, nei sobborghi meno nobili di Montmartre, mi ero avventurata, alla ricerca di una grossa partita di eroina e che, non riuscendo nell’intento, mi ero tolta la vita. Davvero valeva tanto poco, la mia vita?
Immaginate l’eco della notizia. Jack, nell’immediato, venne ricoverato per collasso nervoso. Mary non perse un istante e, dal canto suo, diramò un comunicato, in cui veniva confutata ogni accusa. ‘Nauseanti calunnie‘, in cui il tasso di nefandezza – ve ne sarete resi conto – era elevato. Eppure, neppure troppo tempo dopo, l’arresto per traffico di eroina di un certo Spaulding, capitano dell’esercito, accreditò ulteriormente la teoria della droga, poiché sul taccuino dei suoi clienti fissi fu trovato… sì, fu rinvenuto il mio nome.
Ne seguì uno scandalo colossale, che vide coinvolte una serie di Associazioni atte alla Protezione e alla Prevenzione. Essere presi a modello, rappresentare qualcosa che si spingeva ben oltre noi stessi ci imponeva – almeno su carta – di adeguarci a parametri e regole che palesemente si scontravano con l’ambiente dello spettacolo. Attori, intesi come creature da cui tenersi lontani e così lo stuolo di agenti, produttori, pigmalioni vari o presunti tali. Il cardinale George William Mundelein arrivò, in tal senso, a bollarci per esteso e persino a pubblicare un opuscolo: Pericoli di Hollywood: un avvertimento alle fanciulle, si intitolava. Come dargli torto.
Il mio viaggio Parigi-Los Angeles si era rivelato assurdamente rapido, con un’interruzione, permettetemi, imprevista. Inaspettata, financo per me. O, magari, le cose non stavano così come si dava a vedere. Magari sotto c’era altro. La nebulosità di una famiglia; anzi, di un clan, quello dei Pickford, che avrebbe fatto di tutto per salvaguardare se stesso e la notorietà di un nome che, all’epoca, voleva dire soldi, tanti, potere e tutto quel che, a seguire, arrivava con esso.
Hollywwod, in fondo, quella macchina enorme e micidiale che da poco aveva iniziato a girare, era questo. Un pachiderma, capace di fagocitare tutto quel che toccava, o anche solo sfiorava. Per quel che concedeva, chiedeva in sacrificio un prezzo assai maggiore. Ma noi, tutti, eravamo ancora troppo ingenui. Disarmantemente acerbi e inadatti nel considerare le conseguenze. Noi eravamo gli interpreti di un cambiamento che non solo ci riguardava da vicino ma che, addirittura, come una sorta di onda impetuosa, finiva per travolgerci e ci sovraccaricava di responsabilità.
Non siamo stati capaci di vedere, di prevenire, di contrastare… perciò, al di là dei perché, legittimi, al di là delle congetture, delle tesi spagliate o sbagliate… la risposta è tutta lì, raccolta in quella bottiglietta stretta tra le mie mani. Soluzione ad un disagio – è evidente – eccessivo. Avevo poco più di venti anni. Ero una ragazzina, una ragazzina bellissima. Perdonatemi!
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