Quando Shakespeare non era da solo…
Chi l’ha detto che il ‘maschio’ di famiglia era, per forza di cose, il più talentuoso? E’ presto detto: tale George Macaulay Trevelyan, storico e accademico, vissuto a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento. Ebbene, lo studioso ha trascorso le sue giornate interessandosi di letteratura inglese. E fin qui…
Il punto è che il nostro era altamente convinto che nessuna donna, ai tempi di Shakespeare, avrebbe mai potuto emularlo. Alle sue congetture ha risposto, più in là, elegantemente, Virginia Woolf nel suo saggio Una stanza tutta per sé. Per l’occasione, la scrittrice ha creato apposta il personaggio di Judith, immaginaria sorella di Shakespeare, dotata del medesimo talento ma non – evidentemente – delle stesse opportunità. Intrappolata tra le mura di casa – in quanto donna – e costretta a svolgere i lavori domestici. “Era altrettanto desiderosa di avventura, altrettanto ricca di fantasia, altrettanto impaziente di vedere il mondo quanto lo era lui. Ma non venne mandata a scuola. Non ebbe la possibilità di imparare la grammatica e la logica. Men che mai, quella di leggere Orazio e Virgilio“. Chiaro, no? Adesso, sulla falsariga dello scritto, arriva un libro, edito proprio in Inghilterra, atto a smentire le teorie di entrambi. Pare che siano addirittura quattro le ‘penne – femminili – capaci’ vissute veramente in epoca elisabettiana, capaci di rendersi impattanti, almeno quanto il papà di Romeo e Giulietta.
In Shakespeare’s Sisters: Four Women Who Wrote the Renaissance, Ramie Targoff, professoressa alla Brandeis University racconta, per iniziare, di Anne Clifford, amante di Vita Sackville-West, discendente, a sua volta, proprio della Woolf. Al suo riguardo, firme di prestigio sostengono, convinte, che sapesse parlare “di tutte le cose, dalla predestinazione fino al bisso“. Lo dimostra, ad esempio, uno stralcio di un’amorevole lettera indirizzata a sua madre: “Ti ho fatto mandare il mio ritratto in piccolo, che mi assomiglia molto sotto certi versi; mentre altri dicono che non mi rende giustizia. So che accetterai l’ombra, la cui sostanza deriva proprio da te“. Nel corso della sua esistenza ha combattuto duramente per ottenere quanto in verità le spettava, Lei, figlia femmina, surclassata dall’erede maschio: “una tra le sfide più impressionanti al patriarcato che ha mai visto l’Inghilterra“.
Seguono, nell’elenco: Mary Sydney, sorella del poeta Sir Philip Sidney, le cui traduzioni dei Salmi dall’ebraico sono state apprezzate dai contemporanei (uomini) e che alcuni, addirittura, sostengono sia la reale autrice dei sonetti attribuiti… a Shakespeare. Altri, invece, la identificano come la Dark Lady a cui l’illustre poeta aveva dedicato una poesia.
Emilia Lanier, dal canto suo, fu un ‘antesignana. Autentica pioniera, fu la prima, nel Regno Unito, a professarsi poetessa di professione. Pare abbia studiato talmente tanto, da riuscire persino a sognare in latino. Ancora, Elizabeth Cary era madre di undici bambini. Al contempo, era anche l’autrice della prima commedia scritta da una donna britannica sulla figura biblica di Miriam.
Fatto sta, ha ragione Ramie Targoff. Supponente Trevelyan, nel pensare che l’altra metà della mela non potesse rivelarsi all’altezza. Superficiale – forse Virginia Woolf, nel non approfondire. Non cercare segni tangibili delle scrittrici che, iin maniera indiscutibile, esistevano e si facevano ‘leggere’.
Gioco facile per noi oggi, a cui non resta che riscoprirle, affondare nelle loro parole e godercele, fino in fondo.
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