Seduzione? Fate bene attenzione perché funziona così
Mettiamo subito le cose in chiaro. Il termine, di per sé, sta a significare ‘se-ducere‘, vale a dire condurre a sé ed è questo che lo rende più complesso, giacché non si tratta, in genere, di un talento che si insegna.
Ha a che fare con la spontaneità, con quel fare ‘di pancia’ che ci appartiene soprattutto quando siamo giovani e che poi, con il trascorrere del tempo, tende un po’ a perdersi, vuoi per una serie di sovrastrutture imposte, vuoi per l’esperienza che, a titolo di salvaguardia, ci impone di issare, a preventiva difesa, una serie di barriere.
Dunque, se ne ricava che flirtare è un fenomeno scritto nel DNA, decifrabile in tutte le culture del mondo, sia pur declinato secondo canoni differenti. Esprimere interesse, d’altra parte, non rappresenta che il passo d’esordio verso il fisiologico desiderio dell’essere umano di accoppiarsi e riprodursi.
Certo è che ognuno ‘gioca’ a suo modo. Altrettanto insindacabile che siano catalogabili comportamenti ‘che funzionano’ e altri, invece, totalmente e invariabilmente inefficaci. Partiamo con l’affermare che le persone impiegano dai 90 secondi ai quattro minuti per rendersi conto di una possibile seduzione in atto. Ciò sta ad indicare che, nel giro di pochissimo, occorre dimostrarsi audaci (tenendo conto della sottile ma peculiare differenza tra l’ostentare, il far bella mostra di sé e il voler manifestare interesse per qualcuno).
Secondo il Social Issues Research Center, il 55% dell’approccio avviene attraverso il linguaggio del corpo, il 38% attraverso il tono e la velocità della voce, il 7% attraverso il contenuto di quel che diciamo. Ebbene, pare che la maggior parte degli individui trascorra tutto il tempo o quasi nella preoccupazione di quel che dovrà dire, senza considerare il resto. Niente di più erroneo.
Ciò premesso, il consiglio è di procedere con cautela, comunque, per non correre il rischio di venire fraintesi. Si tratta, spesso, di segnali ‘sottili’: sguardi che sottintendono, che lasciano presagire… accenti, insomma, che cambiano però la dinamica dei fatti.
Pare che le donne, in tal senso, siano maestre nel lasciar parlare le dita, tracciando magari il perimetro di il bicchiere di vino, facendo roteare la penna o sfiorandosi appena il collo. Altro segnale inconfondibile sta nel toccarsi i capelli, spostarli da un lato; poi sistemarli dietro le orecchie… persino mettersi il rossetto senza adoperare lo specchio rappresenta una forma di richiamo. Anche incrociare le gambe ha il suo perché o il lasciar penzolare una scarpa, esplicativo del fatto che non si ha alcuna fretta. Incontrovertibile – è indubbio – è il valore del sorriso.
Cresciuti per diventare cacciatori, gli uomini – dal canto loro – tendono a rendere manifeste le personali intenzioni con posture erette e varie altre tecniche per apparire più grandi, soprattutto se in concomitanza di gruppo di amici. Un sopracciglio leggermente sollevato? Parla da solo. Idem dicasi, quando ci si aggiusta i capelli o ci si sistema i vestiti in un ambiente informale.
L’avvicinarsi mostra interesse, come pure il toccare: una spalla, un braccio, la schiena… gesti immediati, che hanno a riscontro la risposta immediata dell’altro/a. L’apertura, in generale, del corpo: non incrociare le braccia, non voltarsi a guardare altrove… fornisce un quadro evidente di quel che desideriamo.
Esiste una formula più chiara della volontà di conoscersi che l’imitazione? Diventare specchio del proprio interlocutore non lascia adito a dubbi. Lui alza il bicchiere? Noi pure. Incrocia le le gambe? Noi a seguire. Porta il bacino in avanti? Noi con lui, o lei. Chiamiamolo ‘mimetismo sincronizzato’. Badate bene: funziona, manifestazione emblematica e incontrovertibile di sentimenti reciproci. E, se è vero che gli occhi non mentono, il contatto visivo – ricordatelo – è fondamentale. A prescindere dallo stato d’animo che si intende esprimere.
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