Ecco a voi… i personaggi del Carnevale
Parliamo di Carnevale, che equivale a dire riti, festeggiamenti e tante, tante maschere, ognuna dotata di un suo bagaglio di storia. Un suo retaggio, derivato da tradizioni antiche, ancora oggi conservate come portafoglio di una cultura ricca e unicamente nutrita.
Un tuffo, pure, negli aspetti più dissimulati e controversi dell’umana natura. Caratteri fissi e definiti, che rispecchiano le città di provenienza e, perché no, vizi e virtù, pubbliche e privati. Rivisitati, ovvio, con smaliziata ironia.
Pulcinella
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Forse colui che più e meglio rappresenta la fantasia, la furbizia e l’indole partenopea. La veste bianca, il volto scuro altro non rappresentano, se non l’incarnazione del cittadino del Sud, costretto a vivere in una realtà caotica e a destreggiarsi per come può, senza mai perdere il sorriso. In quanto alle origini, alcuni ritengono che il personaggio derivi da Pulcinello, un pulcino piccolino, in riferimento al suo naso adunco. Altri sostengono che il nome provenga da un contadino di Acerra, Puccio d’Aniello, che nel Seicento si unì come giullare ad una compagnia di artisti, di passaggio nel suo paese.
Meneghino
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Il simbolo, per eccellenza, del capoluogo lombardo, maschera senza volto, espressione di un servitore onesto e laborioso. Privo di sovrastrutture, a sostenerne la sincerità e dall’abbigliamento parsimonioso, eppure distinto, incarna l’eroe di una città che, pur nelle difficoltà, sa mantenere alti spirito e dignità. L’origine del nome potrebbe derivare dai Menecmi di Plauto, dal Menego di Ruzante oppure, più semplicemente, dal termine Domenighini, adoperato per indicare i servi impiegati durante le celebrazioni domenicali.
Arlecchino
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Bergamasco di nascita, è considerato un vero e proprio genio, nell’arte di arrangiarsi. Goffo ma altrettanto astuto, è saggio e, insieme, frivolo. Una personalità complessa, la sua, che lo ha reso tra i più amati nella Commedia dell’Arte, anche grazie al caratteristico costume a losanghe colorate. Il nome, nel caso in questione, potrebbe derivare da Hellequin, una figura demoniaca e buffonesca del Medioevo francese. Inizialmente, tuttavia, raffigurava un personaggio povero, ingenuo e incline a risolvere i conflitti, esercitando la violenza.
Gianduja
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Torinese ed equipaggiato del suo tricorno nero, deriverebbe la nascita da Giôvan d’la dôja (Giovanni dal boccale, in riferimento alla sua passione per il vino). Una figura popolare, seria al punto giusto ma, al contempo, capace di godere del piacere delle piccole cose. È nato insieme a Giacometta, dolce fioraia, emblema – a sua volta – del coraggio e della pragmaticità delle piemontesi.
Colombina
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Le origini affondano nella commedia di Plauto, va subito chiarito e, nel tempo, ha saputo distinguersi come una tra le maschere veneziane più note. E’ vanitosa e furba, abile nel sapersi dimenare dalle grinfie di chi la insegue. È – parimenti – simbolo di una femminilità emancipata, libera nel destreggiarsi tra giochi di potere e desideri altrui.
Balanzone
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Il dottore saccente, sempre pronto a pontificare su qualsiasi argomento, è nato a Bologna, città dell’università più antica del mondo. E’ l’incarnazione della superbia e della gola, vizi a cui spesso suole abbandonarsi. Con il suo costume serio e il linguaggio pomposo, paventa di sapere tutto ma – sorta di Don Abbondio di manzoniana memoria – non arriva mai a conclusione, schernito – per questo – dalle altre maschere e dal pubblico.
Pantalone
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Largo all’avarizia, ben interpretata da colui che, imparagonabile a nessuno, venera la ricchezza, più ancora del lusso. Veneziano del Cinquecento, si propone con indosso un abito sgargiante e rappresenta l’anziano avido, che tenta di arricchirsi ad ogni costo, senza mai godere veramente dei suoi averi.
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