Jackie e il mistero dell’abito da sposa mai svelato
Mettiamola così. State per rivelarvi a principali interpreti di quello che è destinato a trasformarsi nell’Evento del secolo.
Da una parte vi sentite raggianti, perché – come probabilmente avviene nel cuore di ogni donna – la ricorrenza mira al convergere di sogni, aspettative, desideri di una vita… gli occhi luminosi e lo sguardo, fiero, di chi vede ‘oltre’. Ma stavolta c’è di più. Questa non è – e non per sminuire nessuno – una data qualunque. Ciò che sta per accadere potrebbe – anzi, sicuramente lo farà – ribaltare le sorti dell’intero comparto economico e politico degli anni a venire, a livello mondiale.
Se stringiamo un poco la telecamera, ci troviamo presso la chiesa cattolica romana di St. Mary, a Newport, nel Rhode Island. E’ il 12 settembre 1953 e c’è una ragazza – una moretta – che sta percorrendo la navata. A porgerle il braccio non suo padre, bensì il magnate Hugh Dudley Auchincloss, un petroliere sposato in seconde nozze, dopo la separazione della madre da John Vernou Bouvier III.
Bouvier… vi dice nulla quello cognome? E se dovessimo aggiungere Jacqueline Lee?
La futura – e ormai prossima – signora Kennedy ha appena 24 anni e sta per dire Sì all’uomo più potente dell’epoca. I due si incontrano al dinner party organizzato a Georgetown dal giornalista Charles Bartlett. John è membro del Congresso, immerso nella campagna elettorale che punta al Senato; Lei, Jackie, è addetta – anche se si tratta solo di gavetta – presso il Washington Times Herald, a stretto braccio con i fotoreporter, famelica di scoop.
Tempo pochi mesi, dunque, ed eccoli lì, all’altare, intenti a dichiararsi amore eterno. Ancor di più – sussurrano le malelingue – a progettare l’architettura di un successo premeditato a tavolino, atto dopo atto.
Ma osserviamola meglio… la gonna ampia; la scollatura verticale… una rivoluzione, per le spose di allora. Tuttavia, non tutti forse conoscono i retroscena di un abito, dal destino quanto meno incerto.
Ann Lowe – la afroamericana Anne Lowe – è considerata, in quegli stessi anni, una tra le stiliste più talentuose e innovative. Veste Rockefeller, du Ponts, Roosevelts… famiglie facoltose. Ma non è l’allure blasonata che convince la First Lady. Come coronare il matrimonio il con Paladino delle lotte anti-razziali, se non facendosi disegnare un modello da chi ha subito sulla propria pelle la piaga dell’apartheid?
La “sarta di colore“, come la definì più avanti la Domina della Casa Bianca – una tra le sue rarissime gaffe, di questo le va dato atto – aveva studiato, per la nubenda, un corpetto aderente e una gonna ‘a sbuffo’, con 50 metri di balze in seta. E se il velo, di pizzo rosa su cui era posata una tiara decorata da fiori d’arancio, rappresentava un cimelio di famiglia, eredità della nonna, il girocollo di perle e i diamanti, ad arredarle il polso, davano luogo, insieme al bouquet, ensamble di orchidee maculate e gardenie, rosa e bianche, ad un equilibrio perfetto. Tutto studiato a puntino, insomma.
Se non fosse che quello appena descritto, lo stesso che appare nelle centinaia di istantanee strappate alle nozze, non era il vestito originale. O meglio, non rappresentava l’idea iniziale della designer… né sapremo mai quale fosse l’ipotetico bozzetto d’atelier.
Quale subdola manovra ad oscurare la verità? Va chiarito. Un banale incidente.
Mentre l’indumento, ormai pronto, attendeva appeso il finir dell’estate, un tubo dell’acqua scoppiò, nel piano superiore, inondando completamente la sartoria di New York City. Il lavoro di otto settimane andò in fumo (ad insaputa generale), a soli dieci giorni dalla cerimonia e, con esso, anche il compenso di 700 dollari. Anne Lowe, per rimediare, ne spese, di tasca propria, ben 2200.
Reclutò personale per incrementare lo staff e mise su una catena di montaggio, in grado di coprire l’arco delle 24 ore. Giorno e notte al lavoro, per il risultato che tutti ricordiamo.
Pensare che Jackie non era rimasta eccessivamente soddisfatta. Così conciata – citiamo diretti – si sentiva di somigliare ad una sorta di “paralume“. Chissà, forse perché, nelle direttive, ci aveva messo lo zampino anche il padre dello sposo, Joseph P. Kennedy.
E qui torniamo… appena qualche minuto più in là. Stiamo di nuovo percorrendo il lungo corridoio che conduce, questa volta, verso l’uscita. Le 12 damigelle al seguito… Poi ci trasferiamo ad Hammersmith Farm, un’immensa tenuta che affaccia sull’oceano. Gli occhi dei 1200 invitati, ipnotizzati di fronte alla torta nuziale: 1 metro e 20 cm di pura imponenza; mentre, all’ombra di un immenso baldacchino, la musica accompagna la scena.
Eccolo, al fine, il sottofondo impeccabile per l’ingresso nella leggenda di colei che per charme, eleganza, intuito e savoir faire sovvertirà la storia. Iconizzata… rimpianta, da quel suo primissimo giorno, fotografata sulla terrazza del padrigno.
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