“Work from home is here to stay”
… come a dire: magari i metodi non saranno ortodossi, ma l’obiettivo rimane lo stesso. Potenza del Covid, il modo di intendere il lavoro ha subito e sta ancora subendo una sorta di mutazione – pregi e difetti allegati – con cui, inevitabilmente, siamo costretti a fare i conti. Abbiamo iniziato ad introdurre, nel nostro comune lessico, il termine smart working, a testimonianza di un nuovo modo di vivere l’ufficio.
“Il lavoro da casa è qui per restare“
“Il lavoro da casa… inteso come lavoro da remoto, è chiaro che diventerà prevalente, in futuro. La pandemia del Covid ha rivelato che è positivo, sia per i dipendenti sia per i datori di lavoro” afferma chi ne sa, anche se è evidente che, a fianco delle innumerevoli convenienze, siano presenti anche una serie di falle, non ultima una maggiore vulnerabilità delle reti.
Di fatto, la situazione sembra standardizzarsi, ormai, verso questo tipo di cliché. E’ quindi logico che numerose aziende cerchino di attrezzarsi affinché la probabile, anzi inevitabile, riduzione degli spazi necessari per ‘operare’, già riscontrabile tra il 10 e il 20% della domanda aggregata, porti ad una riorganizzazione dell’ambiente ufficio.
C’è chi pensa di ridurre drasticamente il numero dei locali disponibili e chi ragiona su un eventuale spostamento in un edificio di più modeste dimensioni.
Dipendenti e datori di lavoro
Due, dunque, le tendenze emergenti, che navigano, però, nella medesima direzione. Da un lato c’è chi – come datore di operatività – si muove verso un futuro caratterizzato sempre più dall’interazione via web: “Dalla nostra analisi – scrivono gli esperti – emerge che la metà delle società… abbia discusso di lavoro da casa. Di queste, l’80% ha espresso un parere positivo“. Dall’altra, buona parte dei dipendenti è consapevole e pronta ad offrire il proprio contributo dalla rispettiva abitazione, anche una volta sepolto il Coronavirus.
E anche quanti – d’abitudine o, meglio ancora, per evidenti necessità di ruolo – non hanno perso il contatto con il proprio posto operativo neppure nel momento della pandemia, hanno tuttavia ridotto il tempo di permanenza, rispetto all’anno precedente. Dati alla mano, “Sebbene occorra essere cauti nel tradurre i comportamenti durante il Covid in comportamenti in un mondo post Covid, è ragionevole ritenere che, quando gli impiegati che hanno lavorato completamente da casa torneranno in ufficio, vi trascorreranno meno tempo di quelli che ci sono sempre dovuti andare, durante la pandemia“.
Ciò non significa, sia ben chiaro, il tramonto definitivo del lavoro in sede. “Le stesse interviste che indicano che le persone pianificano di lavorare ancora da casa suggeriscono che solo il 10% dei dipendenti si aspetta di farlo in maniera permanente“. Si tratta, piuttosto, di un riadattamento. Certo è che il tutto possa tradursi in una riduzione, fino al 30%, della domanda di uffici.
Il collasso del Mercato Immobiliare
Un duro colpo per il mercato immobiliare. “Sul non residenziale di piccole dimensioni è buio fitto. C’erano già segnali negativi prima. E ora c’è poco mercato o non ce n’è proprio”. Aveva sentenziato con lungimiranza, nei mesi scorsi, l’amministratore delegato di Naomisma, Luca Dondi, conscio delle evidenti avvisaglie riguardo ai movimenti di compra/vendita.
Diverso è, in un’ottica di lungo termine, per quanto concerne gli uffici dei grandi centri cittadini. Qui, tutto sommato, dovrebbe andare meglio, paragonati alle controparti di periferia. “La sede centrale – spiega ancora Barclays, che ha condotto l’analisi – tenderà ad acquisire importanza come luogo di incontro centralizzato, se i dipendenti lavoreranno di più da casa”. Una tendenza, che pur riguardando una situazione globale, si sta diffondendo anche in Italia. Sempre più Gruppi cercano di tener fede ad una linea in cui le sedi centrali cittadine assurgano a luogo di ritrovo, sorta di momenti di aggregazione, necessari per tenere le redini del percorso lavorativo. Che risultino, quindi, ben attrezzate e, logicamente, facilmente raggiungibili, per tutti.
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