La ballerina delle passerelle… avrebbe marciato in favore di George Floyd

La ballerina delle passerelle… avrebbe marciato in favore di George Floyd

Prima Di Naomi, Estelle, Christy, Helena… prima di Cindy, Claudia, Tatjana, Shalom… quando ancora le ragazze della notte vestivano le labbra di sfrontato scarlatto, scolpivano gli zigomi con blush dai toni mattone, sfumavano l’ombretto, a tutta palpebra, con un irriverente blu elettrico…

Prima, dicevamo, quando – come alla Corte del Re Sole – unica, la stravaganza, spalancava l’accesso ai Club più esclusivi, mentre l’R&B scandiva il ritmo di notti dal sapore indimenticabile… quando la moda rappresentava un privilegio riservato alle ‘donne in limousine’, c’era Lei.

Pat Cleveland

La ‘Catwalk Queen’, così l’ha soprannominata il Gotha della moda.

Prediletta da Moschino, la giovanissima musa di Dalì ha sfilato, anzi, danzato, sulle passerelle più rinomate: da Lagerfield a Sant Laurent, da Valentino a de la Renta, da Mugler a Dior… una carriera, quella di Pat Cleveland, iniziata nel 1966.

Appena 16 anni, per impressionare Carrie Donovan, allora assistente di moda per Vouge che, incrociandola in metropolitana, ne rimase colpita all’istante.

Fashion takes you everywhere”, sostiene. Ad aprire le porte, nel suo caso, intervenne Oleg Cassini, il designer del jet set, lo stilista di Jackie. La ‘segnalò’, per così dire, ad Eileen Ford, che subito l’apostrofò in questo modo: “Sappi che ti ho assunto solo perché sei raccomandata. Nessuno cerca modelle di colore.” Vero. Fino a quel momento.

Pat insieme a Marisa Berenson e Jerry Hall

La decana di tutte le mannequin ha sdoganato il concetto di Top, rivoluzionato le scelte degli stilisti, fatto da apripista a volti come quelli di Tyra Banks, Anta Fall, Nadege… L’Ebony Fashion Fair fu la prima occasione per manifestare quello che, più in là, sarebbe divenuto un talento. Di più, si sarebbe radicalizzato come expertise.

Da New York a Parigi, il passo fu breve. Presto Pat si rese indispensabile per i couturier più in voga, accreditandosi, insieme ad Angelica Huston e Karen Bjornson, il titolo di Halstonettes.

Era il 28 novembre 1973 quando, insieme ad un folto gruppo di modelli afroamericani, si rese interprete di un evento irripetibile. ‘La battaglia di Versailles Fashion Show’ fu l’occasione per trasformare quella che doveva rappresentare una raccolta fondi nell’incipit di una rivoluzione epocale.

Pat in backstage

Yves Saint Laurent, Pierre Cardin, Emanuel Ungaro, Christian Dior, Hubert de Givenchy da una parte. Dall’altra Oscar de la Renta, Stephen Borrows, Halston, Bill Blass e Anna Klain, insieme a Donna Karan.

Settecento ospiti, tra i quali la Principessa Grace, Marie Helene de Rothschild, Andy Warhol, Liza Minnelli… ad assistere ad un incontro/scontro che avrebbe visto primeggiare la freschezza inedita dello stile d’oltre oceano, svincolando finalmente dalla diffidenza delle passerelle i modelli e le modelle di colore.

Cinquant’anni, fra defilé e copertine: Essence, per prima, poi Interview, Vanity Fair, Harper’s, Cosmopolitan, The Sunday Times Magazine, L’Officiel, Elle, Vouge, GQ… e, ancor prima, un’infanzia, tutt’altro che banale.

All’età di nove anni giocava a golf con Jackie Robinson. “Non sono interessato alla vostra simpatia o antipatia. Tutto quello che chiedo è che mi rispettiate, come essere umano”, ripeteva il giocatore della Majior League. Parole, che l’ancora acerba Pat deve essersi ricordata, nel momento in cui ha dovuto fare i conti con il lato oscuro di Bill Cosby. Amata da Muhammad Ali, ha amato, a sua volta, Kenneth Eckstine.

Quando le si domanda cosa conserva nel cuore: “Le Olimpiadi del ‘92”, ricorda. “Le ho aperte io. Oh my God – mi sono detta – dove ti trovi Pat?

Pat, con sua figlia Anna

Nonostante i suoi 60 e più anni, ancora in prima linea”, potremmo replicare. Alle sfilate di Manhattan, Parigi, Milano… la sua presenza è immancabile.

Oggi, che resta convinta che “la moda sia il migliore lavoro da fare nella vita”; che il mestiere l’ha trasmesso, tanto da alimentarne la passione persino nella figlia Anna.

Oggi, a latere del suo memoir: “Walking with The Muses”, in cui afferma di aver documentato la propria storia sin da subito, conservando foto, diari, disegni… e mentre stringe il volume tra le mani ribadisce: “Ancora non ci credo!”, ha tutte le ragioni per sorridere.

Falcata dopo falcata, alla lunga, la ragazzina che preferiva il ginger allo champagne ne ha fatta di strada e probabilmente – alla luce dei fatti recenti – continuerebbe a marciare, fiera, in favore dei diritti di chi rivendica solo uguaglianza.

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