Così la moda fece i conti con il razzismo…

Così la moda fece i conti con il razzismo…

Colpevole! Questa la sentenza, almeno secondo il parere di quanti, operatori nell’ambito del Glam ravvedono – essi stessi di colore – una sorta di connivenza del Bel Paese, rispetto alla crisi razziale che, in questo momento, riaccende le polemiche in tutto il mondo.

Quando i media sciorinano i nomi delle Maisons che cooptano l’immaginario razzista – ormai secolare – per rinfocolarlo (il maglione nero di Gucci, il ciondolo da biliardo di Prada, la pubblicità della pizza, firmata Dolce & Gabbana), viene spesso trascurato un aspetto. Il fatto, cioè, che Gucci, Prada, Dolce & Gabbana… siano aziende italiane.

Dolce & Gabbana

Conoscendo la cultura, non sono assolutamente sorpreso che gli abiti ‘razzisti’ provengano da case di moda italiane“. Edward Buchanan, che gestisce il marchio di maglieria Sansovino 6, non le manda certo a dire. L’uomo si è trasferito a Milano, dagli Stati Uniti, negli anni ’90. “Tutti sono pronti a dire: ‘Oh, abbiamo messo un modello nero o di razza mista in passerella o sulla copertina di una rivista‘, ma dietro le quinte non ci sono designer o merchandiser di colore.

Kudzai King

Kudzai King, fotografo per Vogue Italia, afferma che l’atteggiamento nei confronti delle persone di colore, in Italia, si gioca tra “fascino e antipatia, allo stesso tempo“. Ricorda di essere entrato in “più ascensori, in cui ero l’unica persona di colore. Beh, spesso ho sentito un forte disagio“.

Un modello per la collezione autunno / inverno 2018-19 di Gucci è visto alla settimana della moda di Milano.

Buchanan afferma che quando lasciò New York per unirsi al rinomato marchio di Bottega Veneta, nel 1995, si sentì un estraneo: “In questo settore, ho sempre avuto l’impressione che, poiché nero, la maggior parte delle persone mi catalogava come africano. Mi immaginavano intento a vendere finte borse Prada, per strada.

Stella Jean

La designer Stella Jean ha assunto una posizione piuttosto netta, nel momento in cui la pratica alle aggressioni ha cominciato a farsi più assidua. “Durante l’ultima Settimana della Moda di Milano ho deciso di non mostrare la mia collezione, dato che il problema razziale, in Italia, non era più accettabile“, afferma. “Non potevo tacere e tenere una sfilata di moda, come se non stesse accadendo nulla di grave.

Invece, ha concentrato i suoi sforzi su: Italiani on Becoming, un progetto – di fotografia e video – protagoniste 20 donne, teso a promuovere la nozione di multiculturalismo. La stilista lamenta che il lavoro sia stato ignorato dalla stampa di settore ‘nostrana’, perché l’idea di identità è un argomento troppo delicato. “La maggior parte delle riviste non ha nemmeno risposto. Alcune istituzioni spingono, fino a suggerire di non collaborare più con me.”

Identità Italiana

Il muro in cui sia è imbattuta Stella Jean è indicativo di quanto sia controversa la questione. A febbraio, la modella Maty Fall Diba è apparsa sulla copertina di Vogue Italia. La scritta “Italian Beauty” accanto e la denominazione ‘ITALIA’ tra le mani. Ma Daniele Beschin, consigliere del partito della Lega, di estrema destra, ha dichiarato che la modella non esprimeva la “bellezza italiana”. Non aveva il giusto colore della pelle (Diba è nata in Senegal ed è cresciuta nello Stivale, presso la cittadina di Chiampo).

Vogue Italia

E’ un vero problema“, afferma Buchanan. “Parli con un afro-italiano che vive a Milano, che parla milanese e viene considerato africano. In termini di cultura, l’Italia non è pronta a dire: ‘Questa persona è italiana’ “.

Manager di inclusione e Consigli sulla diversità 

All’indomani del maglione blackface e degli scandali di bigiotteria, Gucci ha ssunto Renée Tirado, con il ruolo di manager per l’inclusione, mentre Prada si è attivata per istituire, addirittura, un Consiglio sulla diversità. Per Jean, queste strategie mancano comunque il punto. “Trovo assurdo che ne abbiamo bisogno”, afferma. “Quando la semplice applicazione del buon senso dovrebbe consentire a ciascuno di noi di dirigere le energie altrove“.

Buchanan è d’accordo. “Bisogna parlare con le società di reclutamento esecutivo, che stanno impedendo alle persone di colore di trovare lavoro, presso l’azienda. E’ necessario rivolgersi ai sistemi educativi e chiedere perché le persone nere non arrivano alla scuola di design. Non è possibile intrattenere una reale conversazione su inclusività o diversità, se non si è ‘diversi’ dentro.

Buchanan è convinto che la radice del problema risalga alla storia coloniale…

A Valenza, vado a prendere un caffè e mi viene servito in una tazza, con sopra una figura di mamma nera“, racconta. “Nessuno contesta e, se lo fai, ottieni una risposta arrogante. Gli italiani pensano che il razzismo sia qualcosa che accade solo in America“, prosegue. “Nessuno parla della storia coloniale in Somalia, Eritrea e Libia. Non credo neppure che siano argomenti scolastici“.

Jean denuncia “estrema fatica” attorno all’ammissione di razzismo, nella Penisola. “Questo non giustifica la costante negazione.” Il prossimo passo, secondo l’ex modella, consiste in un cambiamento profondo della psiche. “Un primo passo – ribadisce – sarebbe parlare con noi, invece di parlare di noi.

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