Esselunga e quel preoccupante ‘niet’ al lievito

Esselunga e quel preoccupante ‘niet’ al lievito

La notizia potrebbe, di primo impatto, apparire bislacca o di poco peso. E invece, visti i tempi, lascia pensare. La stessa catena di supermercati che, nel mese di marzo, si era resa protagonista di un nobile gesto, donando 10 milioni di euro agli ospedali, oggi sceglie, inaspettatamente, di razionare le dosi di lievito, a disposizione per i consumatori.

Protagonista del racconto Esselunga, azienda che trova il suo specifico essenzialmente nel Nord Italia. Ebbene, nello store online – e solo in quello, sia chiaro – l’acquisto viene limitato ad un massimo di tre unità. La decisione, senza creare allarmismi, riguarda unicamente il prodotto in questione. In automatico, un pop-up blocca l’eventuale aggiunta nel carrello.

Ecco. Se si riflette, anche solo per poco, ci sovviene facilmente il ricordo di gente indaffarata a fare incetta di vettovaglie, nel timore del lockdown. E l’accadimento, di per sé di poco conto, rimanda immediatamente al sapore amaro dei giorni di chiusa. Ha il sentore dell’ansia, soprattutto e della paura.

Benché, almeno da questo punto di vista, ci sia sia organizzati. Nonostante il Governo abbia ribadito più e più volte che un ennesimo Stop Totale sia da escludersi, l’allarme – sottile presenza ma costante – si fa di giorno in giorno più concreto e sentito.

Del resto, i numeri denunciano, nell’ultima settimana, un aumento esponenziale dei casi di positività; solo ieri se ne contavano più di 8.000 – e un accrescersi, in misura meno smodata ma di certo preoccupante, dei decessi e dei ricoveri. Come non stare in allerta? Ed è buffo, perché il primo aspetto di cui si tiene conto è il cibo, senza accorgersi che, anche nei momenti più bui, è proprio l’unico bene che non ha ci ha Mai tradito.

Eventuali rincari a parte, è altro che preoccupa. Il DPCM, discusso a breve, nel giro di qualche ora riesce a sembrare vecchio di anni, ammuffito – lui sì – accanto agli scaffali della farina.

E allora, in resuming, mascherine, da indossare “anche all’interno delle abitazioni private, in presenza di persone non conviventi“. Niente feste a casa e comunque nessun raggruppamento che superi il numero di sei invitati.

Bar e ristoranti chiusi entro mezzanotte e, dalle 21.00, niente soste ‘in piedi’, davanti ai locali, ameno che non si sia accomodati a tavolino. E se, riguardo a mobilità tramite mezzi pubblici e scuola ancora si discute, i tempi di quarantena si riducono da 14 a 10 giorni.

Norme che, tuttavia, sia pur degne nelle intenzioni, sembrano non bastare di fronte al sopraggiungere di una nuova e più sferzante ondata. E c’è chi, tra gli esperti, si rifà all’esempio seguito Oltralpe. Andrea Crisanti, ispirandosi al protocollo messo in atto nel Regno Unito, propone di sfruttare il periodo natalizio e la chiusura delle scuole per sospendere temporaneamente alcune attività. Una scelta che, secondo l’esperto, contribuirebbe ad abbassare la trasmissione del virus e aumentare la tracciabilità dei contatti

Dalla prima ondata avremmo dovuto imparare molte cose“, sentenzia. Una, almeno, dovremmo averla capita: non è per il Coronavirus che moriremo di fame.

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