Quella vena di ottimismo che si misura in ‘resilienza’
“Già la rilevazione di metà settembre confermava… la preoccupazione per il virus“. Parola di chi, nel campo delle ricerche, ci lavora. La tendenza, in crescita esponenziale con il trascorrere delle settimane, nell’aggiornamento di fine ottobre, conteggiava, secondo il sondaggio tracciato da Ipsos, il 65% degli intervistati alle prese con il costante affanno sanitario; ansia, in avvicendamento con l’allarmante percezione, riguardo alle faccende economiche. Quasi 9 italiani su 10 – si evince – più che di contrarre il Covid (27%), sono timorosi di contagiare i propri cari, specie se anziani o soggetti ritenuti a rischio (45%).
E c’è chi, nell’idea di poter perdere il posto di lavoro, imposta, come titolo del proprio quotidiano, ‘rinunce, rinvii e risparmi’. Un trittico non certo da poco. Pare che – stando ai dati – l’84% si sia dissuaso dal dare corpo al personale progetto di vita (figli compresi), piuttosto che (73%) aver volutamente modificato le consuete abitudini.
Ottimismo dove sei? Verrebbe da chiedersi. E, come illustrano gli esperti: “In psicologia, le differenze di genere sono quasi inesistenti: tutti gli studi, in questo ambito, smentiscono che ci siano disparità di atteggiamento tra uomini e donne“. Ci si determina, cioè, a tutto tondo, indipendentemente dal sesso di appartenenza. E dire che è scientificamente provato. Un atteggiamento ottimistico può apportare conseguenze positive sullo stato di benessere complessivo.
“Per essere efficace, si parla di ottimismo realistico, ovvero bisogna guardare la situazione nella sua interezza, individuare gli obiettivi possibili e impiegare le nostre risorse per raggiungerli“. “Nella situazione attuale – si prosegue – abbiamo visto il rischio e lo abbiamo messo in conto, tenendo atteggiamenti di prudenza“. Niente illusioni, dunque. Qui si tratta, piuttosto, di consapevolezza.
“In psicologia esistono due correnti di pensiero… I primi studi, degli anni 70/80, trattano ottimismo e pessimismo come caratteristiche stabili, con cui le persone nascono“. Chi è dotato di ottimismo disposizionale possiede aspettative di più ampio respiro nei confronti della vita. Poi, esiste l’ottimismo appreso, ossia quello che consente di modificare o rafforzare, attraverso insegnamento, modelli sociali ed esperienza, ciò di cui siamo dotati già per indole. Alcuni studiosi americani hanno cercato di quantificare il margine di azione individuale in una situazione negativa. Nessuno studio – tuttavia – è valido. Varia, a seconda del contesto. Quel che si può dire è che esiste sempre uno spazio di intervento. “Comprendere – in sintesi – una realtà in modo realistico, è il primo passo per vedere le opportunità, in una circostanza sfavorevole“. Il consiglio dei più paludati suona così.
“Questa esperienza collettiva, però, andrebbe messa a valore. La pandemia è stata una catastrofe, ma può diventare occasione di cambiamento“, spiega Chiara Giaccardi, professoressa di Sociologia e antropologia dei media presso l’Università Cattolica di Milano. “Gli Italiani – aggiunge – possiedono una capacità di resilienza, dimostrata nella storia e negli ultimi mesi. Questo non significa adattarsi a sopravvivere, ma reinventarsi“.
L’ottimismo, dunque, non si impara. Semmai si educa e lo si ammanta di altro, con il buon auspicio che a custodirlo sia, prima e ancor più di tutti noi, il sostegno, permeato di buon senso, di chi, in queste ore, ci Governa.
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