Quella mano tesa che è ‘gesto d’amore’…
Certi mali sono terribili. Ma ce l’hanno scritto in faccia chi sono. Servono terapie d’urto, nel caso. Ma tutto, di fronte ai nostri occhi, si presenta palesemente chiaro. Non rimane che reagire. Percorrere la strada delle terapie. Incanalarsi laddove la soluzione sembra, quanto meno, auspicabile.
Poi ci sono altri mali… sono silenziosi. Scivolano, prediligendo vie traverse, nell’anima e lì affondano. La permeano, tutta, di un’inquietudine che difficilmente riesce a descriversi. Docce di apatia in cui, più che la tristezza, riposa la malinconia. Depressione, il nemico oscuro della società contemporanea, allarga i propri confini e stabilisce la residenza nel posto in cui, solitamente, si rifugiano i pensieri. Avvolge le pareti di questa nostra dimora terrena, ne invade gli arredi… ed ogni idea, ciascuna riflessione, comincia ad odorare di muffa, sa di stantio. Un velo di polvere leggera ma che intossica, giorno dopo giorno. Si poggia appena, eppure avvelena, vestendosi dei colori del disinteresse, indossando le sfumature dell’apatia…
Meglio il Covid? Blasfemi che siamo… rischiamo di rispondere: “Sì!”. Come ci si svincola, dunque, da questa ragnatela che respira di marcio? Se non a prevenire, addirittura, ad intuire prima ancora che la presenza sia conclamata? Ad allontanare i sintomi di un delirio che non uccide – in apparenza – semplicemente perché è assai più divertente consumare. Piano piano..?
Individuiamo i segnali…
Per parecchi, fortunatamente, può trattarsi di una condizione passeggera. Eppure molti rimangono intrappolati – inconsapevoli vittime – in uno stato cronico, che si presta a sfociare nelle forme più gravi.
Riconoscere – nell’altro/a – il vuoto, prima di tutto. Lo raccontano la spiccata emotività, l’incessante desiderio di piangere, l’ansia e l’irrequietezza, la perdita generale di entusiasmo. Ed ancora, l’irascibilità, la mancanza di energie, l’inappetenza o la voracità eccessiva. Nei casi peggiori – è risaputo – si sfiorano le soglie del suicidio.
E se, scevro da giudizi, per chi sta accanto è forse lampante notare l’ensemble funesta di sensazioni che abita chi si ama, non altrettanto ovvio è entrare. Trovare lo spiraglio in cui fare breccia, per condurre, novello Orfeo, la propria Euridice alle soglie dell’Ade.
Uno degli atteggiamenti più ricorrenti – non a caso – di chi ‘si smarrisce’ è proprio la tendenza ad allontanare gli affetti. Lo fa, grazie ad armi di cui neppure è consapevole, per cui la risposta più errata è reagire con rabbia. Occorrono, al contrario, infinita dolcezza ed una pazienza tale da consentire al soggetto in questione di acquistare consapevolezza rispetto alla dimensione in cui verte.
Inutile sottolinearlo – ma ci preme comunque farlo – consultare uno specialista permetterà di acquisire gli strumenti, per meglio gestire la situazione.
Strano, forse, a dirsi, ma in questo perpetrarsi di battaglie occorre essere un pizzico Machiavellici. Non pensando – seppur in buona fede – di poter aiutare Lui o Lei redarguendolo, oppure insistendo nel far notare quel che non va. Per spronarlo/a bisogna agire di sottecchi. Saper usare le parole, affinché il lavoro certosino di mesi non venga spazzato via in un istante. Osservatene con attenzione le reazioni: il senso – più o meno eloquente – di fastidio, l’irrigidimento di fronte a determinati input… Quel che appare, di primo acchito, come un ostacolo rappresenta, invece, l’arma con cui sconfiggere il rivale numero uno, vale a dire il senso di colpa. Spesso radicato. Quasi sempre inflessibile.
Secondo step, lasciare spazio e tempo a sufficienza per elaborare quanto accade. Per vedere, in solitaria, la bolla in cui si è finiti. Mano tesa, appena fuori dal confine, affinché subito si possa individuare un alleato/a e sorriso, perché la soavità solleva anche i massi più insopportabili.
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