Cannibali etici: perversi sì, ma mai pericolosi
“Ho bisogno di bere il tuo sangue, lo desidero“, ed ancora: “voglio romperti una costola, grigliarla e mangiarla”. Sconcertati? Tranquillizzatevi, null’altro che di cannibalismo etico si tratta.
Il vaso si è scoperchiato, nel momento in cui Armie Hammer (l’attore di Chiamami col tuo nome) avrebbe inviato una serie di messaggi dal tono piuttosto hot alle sue ‘belle’. Parole, nulla di più, che però – inevitabile – hanno scatenato quel tanto di morboso che alberga dentro ciascuno di noi.
Così giù a critiche e processi, con tanto di assoluzione da parte di Slate, vale a dire il sito che, in un articolo, sostiene le performance alimentate dai valori fin qui in questione.
Partendo da questi presupposti, tale Muki avrebbe reso nota la propria esperienza. Sin da piccolo, gli è stato detto che, ad attenderlo, ci sarebbe stata la prigione, che avrebbe dovuto essere seguito da uno psichiatra… Terrorizzato egli stesso, nel crescere, rispetto alle pulsioni anomale, tanto da pensare di essere pazzo. Ma la frenesia, ben presto, ha verificato non essere unicamente la sua. Il mare in cui si nuotava immergendosi in Internet offriva un numero indefinito di interlocutori, con lo stesso appetito. Voraci, insieme e liberi nel raccontarlo.
Da qui, l’idea di riversare quella che rappresentava una predisposizione naturale in un’altra passione. Gli scatti fotografici lo hanno condotto alla messa a punto di un sito: Muki’s Kitchen. Il resto è storia.
Ritratti di donne ‘imbandite’ per essere mangiate. Umana – o disumana, come preferite intenderla – natura, che si dispiega in fantasia. E, come tale, si palesa. Niente violenza al seguito, niente morsi. Quella proposta da Muki è un’esperienza altra. Erotica, sia pur al limite della liceità. Malata quel tanto che basta, per renderla accattivante.
Così, il ‘nostro’, interloquito sulla vicenda Hammer, avrebbe chiarito – stando ad una lettura personale dei fatti – che il problema non sarebbe tanto insito nel desiderio espresso quanto, piuttosto, nella mancata rispondenza con l’interlocutrice di turno. Sarebbe venuto a mancare, in sintesi, quel patto di reciprocità che rende complici; la consensualità, che governa la base di qualsiasi rapporto.
Di inclinazioni sessuali trattasi, dunque. Punto e a capo. L’arte, se di arte si vuol parlare – sta nell’individuare un soggetto di cui ci si fida e che, a sua volta, si fidi e scegliere, come accade con tutto il resto, quel che reciprocamente piace e quel che, invece, no. Al bando la vergogna, abbasso il pudore, che tra le lenzuola a poco serve. Senza, tuttavia, rinunciare a se stessi.
Aderire ai sogni, più o meno leciti, dell’altro/a significa, in parte, spogliarsi di sé. Ma il gioco, a pensarci bene, è tutto qui. Consiste nell’abbandonarsi quanto più possibile per ricevere, semmai, in cambio, assai di più di quanto, legittimamente, ci si possa attendere.
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