Tutto su mio padre…

Tutto su mio padre…

In Giuseppe, hanno i padri di famiglia il più sublime modello di paterna vigilanza e provvidenza. I coniugi, un perfetto esemplare d’amore, concordia e fedeltà coniugale. I vergini, un tipo e difensore insieme della integrità verginale. I nobili imparino da lui a conservare, anche nella avversa fortuna, la loro dignità e i ricchi intendano quali siano quei beni che è necessario desiderare. I proletari e gli operai e quanti in bassa fortuna debbono, da lui, apprender ciò che hanno da imitare“, secondo le parole di Papa Leone XIII, in riferimento a San Giuseppe.

Eccolo, il capostipite di tutti i papà. Il falegname, così perfettamente ridisegnato da Giovanni Veronesi nel suo Per amore, solo per amore.

Nel racconto, si tratta di un uomo attempato, un frequentatore assiduo di bordelli. Uno che si invaghisce di una ragazza assai più giovane e, nel momento in cui la scopre incinta, si preoccupa – come naturale – delle apparenze, delle possibili maldicenze… La sposa, facendo credere che il bambino è suo, ma l’animo è in travaglio. Un essere umano come tanti che, tuttavia, opta per l’amore. Quello puro, vero, disinteressato. Quel genere di affetto che ti accompagna per tutta la vita, che ti fa da radice. Quel sentimento a cui appellarsi, ogni qualvolta se ne percepisce l’esigenza.

Ed è qui, nella forza del racconto, che si racchiude il segreto del concetto di genitorialità. Padre – o madre – è chi ti cresce, non basta metterti al mondo. E’ chi ti accudisce, quando sei piccolo; chi ti ripara con la propria ombra; chi ti protegge senza tarparti le ali. E’ colui che ti approva, oltre ogni misura; colui dal quale correre se ci si sente insicuri. E’ quella persona che ti guarda e, attraverso quel solo attimo, sa farti comprendere ciò che pensa di te.

Di più, è materia, parte stessa di te; dei tuoi comportamenti, delle scelte, del modo di muoverti, guardare il mondo, correre… respirare, persino. E’ la traccia dell’esistenza che avanza. E’ ieri che si prepara a farsi domani.

E’ l’esempio, costante, a cui attingere. Ma è, prima e sopra ogni altra cosa, un uomo. Fallibile, mutevole, scivolosamente vittima, anch’egli, dei capricci dell’esistenza. E’ roccia che, talvolta, si sgretola. E’ mistero a tratti svelato… e può trasformarsi in abuso, in tradimento, in delusione.

LADY IN REDASCOLTA

Papà, io ti ho amato tutta la vita e non sono i tuoi errori ad avermi spaventata. Semplicemente, quella tua inflessibilità nel volerli riconoscere. La convinzione pervicace che io mi rivelassi debole, senza di te. Ed oggi, nel giorno a te dedicato, ancora non ti accorgi di come ho speso la mia intera vita a cercare di compiacerti. Ho cercato la tua stima, uno sguardo su di me che si poggiasse fiero. Ho speso tutte le mie energie per disegnarmi non come tu mi avresti voluta, ma come io ho desiderato essere, nella vana attesa che tu, così, mi potessi accettare. Mi sono piegata a raccogliere le briciole di un amore, che per me rappresentava l’immenso. Ho elemosinato i tuoi occhi, l’attenzione… Mi sono sfiancata, torturata, punita… mentre Tu mi parlavi e quella tua voce si rivelava crudele. Mi traforava lo stomaco. Mi divorava.

Siamo ancora qui. Il tempo, volendo, c’è ancora, ironia della sorte. Eppure Tu, ancora in questa occasione, decidi di chiudere. Mi rimbalzi come un muro di gomma. Mi liquidi con i tuoi soldi, come fossi una stipendiata. Ti illudi, forse, che così starò zitta. Ma il bene non si compra.

Il bene è un atto generoso, coraggioso, intrepido. E’ il perdurare di un sentire che cresce, nel tempo. Non si dimentica. Vorrei poterti dire grazie, quest’oggi. Pagherei per possedere, nel cuore, un’intenzione differente da quel che i fatti, ahimè, mi suggeriscono.

Ma sai che c’è? Grazie te lo dico ugualmente. Rivendico me, in questo modo. L’opportunità che mi hai offerto, attraverso il tuo comportamento, di stabilire ciò che Mai avrei voluto essere. Mi hai insegnato il possibile, non un passo in più. Mi hai forgiata, per necessità di sopravvivere. Mi hai scordata, poi, riposta in chissà quale angolo del tuo essere e dimenticata lì. Mi hai ripudiata, poi ripresa, poi, ancora, mi hai lasciata scivolare via…

Ma grazie, ti ripeto, perché attraverso l’esercizio al dolore, ho assunto i panni di una guerriera. Sono stata femmina e maschio, come tu avresti voluto. Donna e bambina. Bellissima ed orrificante. Ho attraversato i secoli, vestito mille vite, nella speranza di trovarti almeno in una. Ma Tu niente. Ti sei reso irreperibile. Allora, non paga, ti ho rincorso, inseguito… mi sono lasciata smarrire e poi, ancora, mi sono ricostruita. Edificata, creatrice in prima persona di me stessa.

Di questo, grazie!

Il resto lo ripongo in sordina. Lo accantono in un angolo che, ho capito, non c’è nulla da fare.

Rimane, acceso, l’odore delle tue sigarette. Il sapore è acre, ma labile. Sfuma via presto… basta soffiare. Oh Dio, vorrei poterti parlare diversamente. Mi accanisco, nella convinzione che ci sia ancora una via per raggiungerti… Vorrei poterti piangere, ma mi hai cancellato perfino le lacrime.

Papà.. ti porgo i miei auguri. Non so neppure perché. Quale, a questo punto, possa esserne il senso. Ma sia. Mi appresto all’ultimo giro di questo lento, dolcissimo e massacrante. Ti amo. Ti amo ancora. Non credo che riuscirò mai a smettere e questo male che mi porto appresso, sono certa, non andrà via. Non è fumo, questo, ma fuoco. Brucio e non basta soffiare. Non in questa circostanza”.

Tua figlia

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