Gli irregolari di Baker Street

Gli irregolari di Baker Street

Non se ne fa scappare una, il canale Netflix che, stavolta, ci trasporta tra le atmosfere che hanno saputo caratterizzare le opere di Conan Doyle. L’ultima serie si intitola – difatti – Gli irregolari di Baker Street, e rappresenta, senza troppo rimuginare, la più rinnovata e moderna interpretazione del mito di Sherlock Holmes.

Pancia mia fatti capanna‘, potrebbero, dunque, esclamare gli intenditori del genere. E invece no. Qui – Signori e Signore – c’è il trabocchetto e lo si intuisce – anche noi introdotti nei panni di investigatori – a breve. Tanto per cominciare, il celebre personaggio partorito dalla penna dello scrittore non figura, se non a metà della seconda stagione, e in ruolo piuttosto marginale. In quanto a Watson, fedele assistente del ‘nostro’, lo si incontra sin dall’inizio della narrazione, vero. Appare, tuttavia, spoglio dei connotati originali, privo delle caratteristiche che a noi, poveri ma attenti lettori, hanno insegnato ad amare il climax della fumosa Londra vittoriana.

Ciò detto, è proprio il dottore ad ‘aprire le danze’, ingaggiando, per l’occasione, una banda di orfani ben inseriti nei luoghi più fatiscenti della città, affinché si ingegni a risolvere un caso di poco conto che, come in una Matrioska, si scoprirà, in seguito, celare un mistero assai più composito.

Ai quattro ragazzi: Bea, Jessie, Billy e Spike, il cui fil rouge è il comune trascorso adolescenziale, divisi tra violenza e povertà, se ne aggiunge – presto – un quinto, Leopold, giovane principe d’Inghilterra in incognito, cagionevole di salute e fuggito da Corte, per amore.

Otto episodi, in cui la riscoperta della tradizione va a braccetto con la volontà di innovazione. E in cui la Capitale britannica, cupa e sporca, come da costume, si ammanta persino di elementi soprannaturali. Un bel melting pot, insomma, a specifico uso e consumo della fascia teen.

Un racconto corale, di formazione, in cui agli intrighi romantici si alternano scene d’azione, sì, ma da noir grottesco. Un trappolone, in sostanza, in cui il Male, per l’ennesima volta, la fa da protagonista, aggirandosi tra i bassifondi e le locande malfamate. E via con il paranormale e la capacità di esplorare i ricordi delle persone. Frammenti, che condurranno alla ricostruzione di un passato, per tutti, diverso da quello presunto.

Originale? Nella trama, poco, sembra e un po’ traballante in quanto a linea narrativa, ma – state certi – non ci si annoia.

La caratterizzazione dei personaggi è ben riuscita, così come il ritmo, squarciato da continui colpi di scena, si disegna imprevedibile. Binge watching? Beh, forse meglio assaporare, puntata dopo puntata, un po’ alla volta. Ciò non di meno, sotto gli occhi attenti dello spettatore, il tutto scorre, amenamente.

Tutto sta nel decidere cosa ci sia aspetta. Se l’intenzione è di ilare divertissement, passi pure. Se quel che si cerca sono i toni del giallo, gli accenti freddi del brivido, magari – in tal caso – meglio riprendere in mano un, sia pur datato ma sempre valido, libro del buon vecchio Arthur, che non tradisce mai.

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