Vino? Selezioniamolo così…
Volendo narrare di ‘fascinazioni’, ce n’è una, che si appoggia alla tavola, niente affatto scontata. Lo sanno bene i sommerlier, figure ‘da ristorante’, atte ad accompagnare il cliente attraverso il suo viaggio culinario per, al meglio, consigliarlo. Assecondano, in genere, qualità degli assaggi e abbinamenti da seguire. Così, se l’enologo abita – per così dire – in cantina, in sala c’è l’amico discreto, suggeritore di appaiamenti che procedano, secondo il duplice criterio della concordanza e /o dell’opposizione. Vale a dire che, mentre alcune caratteristiche di quel che sorseggiamo tendono a contrastare il gusto delle pietanze, altre, docilmente, lo assecondano.
Ma, per chi fosse neofita al riguardo, sappiate che si tratta solo di un entry level, a cui se ne avvicendano e susseguono numerosi altri. Si parte, dunque, dall’analisi sensoriale, compendio di ‘descrittori’ rigidamente codificati a cui, di recente, qualcuno tenta, a suo modo, di venir meno.
“L’aspetto scientifico dell’abbinamento è governato da una logica di conservatorismo puro, perché è elaborato e studiato dalle Associazioni di sommellerie, che hanno sempre calcato la mano su questo punto. Per fortuna, anche nel mondo del vino c’è chi tende a scardinare le verità date per assodate e il modo di approcciare il vino, dato per assunto“.
Tempi di rivoluzione?
“Il vino, dal punto della ricchezza gustativo-olfattiva si è semplificato molto, spesso appiattendosi su gusti preconfezionati. Anche il movimento del vino naturale che, in teoria, avrebbe dovuto combattere questa tendenza, lentamente ma inesorabilmente, si sta appiattendo su stili, pratiche in voga ed errori, dati dalla scarsa conoscenza del territorio, del vitigno e delle tecniche di vinificazione“.
Dunque se, come ci fanno sapere, “la questione dell’abbinamento cibo-vino è uno tra i temi più discussi, sia tra gli addetti ai lavori, sia tra i novizi“, giacché “ogni vino è diverso e, con il passare degli anni, si è assistito ad un’esplosione di stili“, poche ma disciplinate linee guida abbisognano, secondo un approccio… più moderno.
- Punto primo: se è vero che l’esperto può rivelarsi un buon Mentore, pur tuttavia c’è da considerare che non esiste il palato perfetto. Di contro, non va sottovalutata la nuova e più contemporanea tendenza nel preferire, a tavola, la formula del fine dining. Una serie di assaggi, cioè, da condividere che, per loro intrinseca natura, possano rivelarsi assai discostanti l’uno dall’altro e, per questo stesso motivo, complicati da associare ad un’unica bevanda.
- Un primo e più elementare sussidio può fornircelo la provenienza regionale. accoppiata, peraltro, avvalorata dalla tradizione.
- Conta, altresì, quella che potremmo definire l’Ispirazione. Il getto del momento. Tener conto, insomma, anziché degli alimenti, dell’occasione e dell’atmosfera che essa richiede.
- Seguire un vocabolario alla portata di tutti. La classificazione, pertanto, non si distribuisce fra acidi, tannici, legnosi e fruttati, bensì, oggigiorno, tra cupi, eleganti, pieni di sentimento e affascinanti, secondo una nomenclatura più comune.
- “L’abbinamento iper-tecnico tradizionalista è una gabbia“, volendo significare che, in prima battuta, vale ciò che ci piace e conta assai di più di quel che che ci viene suggerito. “Il consumatore – in sostanza – vuole bere quello che vuole, indipendentemente dal cibo“. Ma, la maggiore libertà rischia di compromettere – se vissuta con superficialità – un connubio che, nel tempo, ha richiesto, invece, un impegno costante.
- Ultima nota: il vino sbagliato non esiste. “Spesso, le persone chiedono un suggerimento di pairing“. In realtà, confida chi ne sa, ciò che più importa è il sapore. “Tutt’al più non noterai una connessione speciale tra ciò che c’è nel tuo bicchiere e ciò che c’è nel piatto. Ma anche questo non ha molta importanza, se pensi che il vino sia delizioso“.
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